30. The blood in my veins is made up of mistakes

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Lei venne da te piena di tracce di passato, schiva, disillusa, ma con quel sorriso ancora acceso di chi non si è arreso.
Tu avevi solchi sulle mani, ed hai scavato per farne strade di fiducia dove farla camminare. E senza tutta quell'assurda gelosia di quel che è stato, con un abbraccio l'hai spogliata degli amori di ieri e vestendola della tua vita le hai detto: "Quel che hai avuto prima di me lo dimenticherai. Quel che verrà dopo di me non lo vorrai più conoscere."

Pensava di aver imparato a riconoscere le emozioni, quando ne incontrava lungo il suo tragitto, era convinta di essere una vera esperta in materia, e soprattutto, di riuscire a identificare quella che le persone chiamavano felicità

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Pensava di aver imparato a riconoscere le emozioni, quando ne incontrava lungo il suo tragitto, era convinta di essere una vera esperta in materia, e soprattutto, di riuscire a identificare quella che le persone chiamavano felicità. Eppure, si era resa conto che a volte arrivava mascherata e nascosta sotto un velo inaspettato.

Alla fine aveva capito a sue spese quale fosse la chiave, per trovare la felicità, ed era un modo più semplice e più perverso di quanto potesse mai immaginare: bisognava perderla.
Perché nel momento in cui sei troppo occupato a vivertela, semplicemente ti svolazza davanti come una farfalla mentre tu, sguardo verso l'alto e testa affondata nell'erba, sei troppo concentrato nel perderti a guardare il cielo.

Come quando ricapita tra le mani una vecchia fotografia che riporta alla memoria lo stato d'animo di quando è stata scattata, ed improvvisamente ci si stupisce nel riconoscere scolpito in quei colori vivaci il ricordo di un sentimento, quello sovrano, l'emozione più pura, quella più sincera: in quel momento, io ero felice.

Mentre Estelle concretizzava questa presa di coscienza, e realizzava che forse quelle certezze che si dannava tanto a cercare non sarebbero mai arrivate, perché in fondo sarebbero sempre svanite di fronte al modo in cui lui la faceva sentire, da quella notte plumbea passarono una manciata di giorni, in cui Harry era sparito completamente.

Estelle vagabondava barcollante in preda ad idee contrastanti, nell'incertezza di quello che avrebbe dovuto fare, bloccata in un vortice di impasse mista ad apatia che la costringeva a fare l'unica cosa che le riusciva bene in quel momento: assolutamente nulla.

Charlie ogni tanto la guardava, mentre restava imbambolata a fissare il fondo della sua tazza di caffè, e scuoteva la testa.
«Sapevi come era fatto, eri stata avvertita.» Le ricordava senza essere interpellata.
Quel pensiero non era affatto consolante, anzi, ogni volta che lo ripeteva, una parte di sé si sbriciolava lentamente assieme ai ricordi delle sensazioni che le avevano perforato lo sterno e accartocciato il cuore, tanto che era arrivata ad un certo punto in cui le aveva urlato di stare zitta, per cui l'amica aveva deciso di smettere di infierire.

Quando fu veramente esasperata da quella situazione, prese la decisione di fare esattamente quello su cui stava ragionando dal momento in cui lui l'aveva guardata in quel modo paralizzante, nel chiostro dello Sketch.

E: Ivy, mandami il numero di Gemma, per favore.
Pochi istanti dopo sul suo schermo comparve il contatto della sorella di Harry e, per una volta, Ivonne non le fece ulteriori domande.

𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚 𝒚𝒐𝒖 𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚 𝒎𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora