15. Taffy stuck and tongue tied

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«Mi capisca.
Io non sono come un mondo comune.
Io ho la mia pazzia, io vivo in un'altra dimensione.. e non ho tempo per le cose che non hanno anima.»



Senza neanche essersi resa conto di aver accettato quell'assurda proposta, avvertendo solo all'ultimo momento un Harry ormai rassegnato al fatto che lei fosse sparita, si era ritrovata su un aereo in business, ancora una volta diretta a New York.

Cercò di concentrarsi per tutto il viaggio sul fatto che avrebbe dovuto scattare uno shooting, giusto per non sentirsi troppo stupida e folle e non farsi assalire dalla voglia di tornare indietro, che comunque le si ripresentava in testa a intervalli regolari.
Anche perché quella storia dell'appartamento, nella sua testa non reggeva proprio: come al solito, tendeva a non prendere mai troppo sul serio le parole di lui.

Il pensiero che avesse la carezzevole e spietata voglia di rivedere un po' quegli occhi e tenerli ancora per un momento con sé, stretti nei suoi, era un'idea che le si proponeva solo nei sogni, quando gli stati della coscienza erano alterati. Quell'immagine irripetibile che corrispondeva all'unicità del suo desiderio, sebbene non ne fosse pienamente consapevole.

Ragionò sul fatto che doveva averci visto qualcosa di buono, in lui, se era riuscito a convincerla.
Anche se ancora non riusciva a decifrare cosa fosse, e più ci pensava più si convinceva del fatto che fosse una reminiscenza dovuta a quello che ricordava di quei giorni che avevano passato nella stessa scuola.
Quelli in cui lui era un timido raggio di sole che filtrava attraverso la finestra appannata e ingrigita dalle sue debolezze, le sue insicurezze: lo smarrimento di chi non aveva certezze sul suo futuro e rimaneva impigliato ad una realtà che sentiva non appartenerle, ogni giorno di più.

Attraverso gli occhi di lui, le sembrava di vedere quella stessa realtà filtrata come una tela di acquarelli sbiaditi su cui avesse appena piovuto: il mondo diventava improvvisamente più genuino, rispetto a quella routine velenosa da cui lei voleva semplicemente scappare.


Gli Hamptons erano così lontani da Manhattan, e non soltanto per una questione di distanza, ma perché sembrava di ritrovarsi improvvisamente catapultati in un altro mondo.
Poggiò la fronte sul finestrino dell'auto beandosi di quel contatto rinfrescante, mentre percepiva una tensione nervosa a fior di pelle che le chiudeva lo stomaco, e risaliva netta attraversando i muscoli con leggere scosse. Rimase ad osservare quel paesaggio placido e assorto che scorreva lento davanti ai suoi occhi illanguiditi: le case bianche con le barche sui canali, le staccionate di legno e bambù, le tavole da surf appoggiate ai muri delle case, le sedie a dondolo sotto i porticati sul mare, i giardini pieni di fiori e le fattorie a bordo strada.
Il suo sguardo infiacchito scivolava lungo i viali alberati, sulla moltitudine di ristoranti con le verande rivolte verso il mare, e quelle lunghe spiagge di sabbia dorata bagnate dall'oceano.

Il tempo sembrava scorrere ad un'altra velocità, come rallentato rispetto alle metropoli a cui era abituata, eppure invece di donarle una sensazione di quiete, quell'atteggiamento disteso che leggeva in quei pochi passanti che aveva incrociato e nelle anziane signore coi cappelli di paglia che curavano i loro giardini, più passavano i minuti e più le accresceva l'ansia che prendeva ad assalirla in maniera vorace.

L'odore salmastro del mare la investì completamente, non appena mise piede in quel grande edificio bianco in stile liberty che sarebbe stato il suo hotel.
L'hotel che aveva scelto Harry.
Era immerso nel verde e il giardino sembrava un orto botanico, aveva un grande patio in legno dipinto old style che affacciava sull'oceano, nonostante questo possedeva un'aria incredibilmente riservata.
E intima.
Troppo intima.
L'ansia ricominciò a galopparle in gola, dandole le sensazione immediata di soffocare.

𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚 𝒚𝒐𝒖 𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚 𝒎𝒆Where stories live. Discover now