27. I call my baby Pussycat

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Si conobbero.
Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s'era mai saputo.
E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s'era potuta riconoscere così.





Ancora non si era abituata a svegliarsi e a trovare Harry che dormiva al suo fianco, mansueto eppur intimidatorio nel suo sonno ritemprante, come doveva sembrare un leone durante la siesta.
Completamente nudo, ovviamente, perché convincerlo a mettersi anche solo i boxer dentro casa sua era una lotta ogni volta, da cui Estelle usciva sempre inesorabilmente sconfitta, e allo stesso tempo visibilmente soddisfatta.

In più quando si addormentavano erano sempre talmente sfiniti e privi di qualsivoglia energia vitale, che rivestirsi o fare qualunque cosa che non fosse crollare dal sonno appariva come un'impresa estremamente faticosa e inutile: non facevano nemmeno in tempo a ragionarci su.

Per cui lei, dopo la notte accesa di stelle e fiamme, la mattina, rimaneva ad osservare in silenzio ogni singolo millimetro del suo corpo addormentato, rilassato. E ci restava per intere ore, perché Harry dormiva veramente tanto.
Così doveva sentirsi Psiche, pensava, quando per la prima volta riuscì a posare gli occhi su Eros, illuminato dalla luce della candela, in tutta la sua splendida e divina perfezione. Abbagliata dalla bellezza di quella creatura con cui aveva passato infinite notti di bruciante passione.

Ed Estelle in quei momenti era gelosa di quel sonno che le rubava la possibilità di guardare i suoi occhi, che erano la cosa che di Harry più amava, senza dubbio.
Lo guardava in silenzio, sperando che aprisse gli occhi solo per un istante, per vederli ancora una volta, perché non si sarebbe mai privata di quella vista estasiante.
Cercava di accarezzarlo, di spostargli i capelli dal viso, ma quello che otteneva era solamente qualche mugugno, poi lui la stringeva a sé con la mano, ma restava immobile, con gli occhi chiusi.

A volte sussurrava il suo nome, si assicurava che lei gli fosse accanto, e poi ricrollava in un sonno profondo.
Aveva fatto così per due mattine di seguito, perché Estelle non era più tornata a casa, da quando lui era a Londra.
Avevano chiuso il resto del mondo fuori dalla porta e non avevano intenzione di uscire da quella bolla di cristallo soffiato in cui esistevano solo i loro respiri, le loro bocche e la loro pelle.

Harry si svegliava solo facendo l'amore. Quando lei si avvicinava al suo corpo, accoccolandosi tra le sue braccia, lui la avvolgeva con il pettorale contratto contro la sua schiena: il profumo dei suoi capelli e la morbidezza vellutata della sua pelle, la linea dei fianchi che si stringeva sulla vita e la rotondità compatta del suo fondoschiena, gli risvegliava i sensi nel più dolce ed eccitante dei modi, e i suoi polpastrelli ricominciavano a scorrere lentamente ma inesorabilmente su quelle forme accoglienti.

Allora lui schiudeva lentamente le palpebre e lei gli rivedeva finalmente quegli occhi, che si affacciavano sul suo corpo con lentezza, con quella scintilla di desiderio che li faceva brillare più del solito, e sentiva l'anima paga, finalmente risolta.

«Te l'ho detto quanto mi fa impazzire il tuo culo?» Le aveva graffiato la pelle puntellandola di brividi, con la voce roca dietro l'orecchio, mentre le spostava una ciocca di capelli e teneva lo sguardo puntato verso il basso.
«Buongiorno, Shakespeare.»

«Lui l'avrebbe pensata come me, e ci avrebbe scritto sopra un sonetto.»
Dopodiché la prendeva, con una certa impellenza, mentre lei sentiva il suo respiro sulla schiena e le labbra di lui scivolare dalla spalla fino all'incavo del collo, e arrivava anche l'appagamento fisico, e quello diventava sempre più intenso, tanto da averli resi entrambi incredibilmente dipendenti da quelle sensazioni brucianti e irresistibili.



Avrebbe potuto essere sera o mattina, e loro non avrebbero saputo dirlo con certezza, perché la cognizione del tempo era andata a farsi benedire.
Lame luminose che infrangevano la semioscurità della stanza suggerivano che il sole dovesse essere ancora alto, e in quel momento, qualunque esso fosse della giornata, Harry aveva roteato gli occhi rovesciando la testa all'indietro, come se stesse subendo l'ennesima tortura.

𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚 𝒚𝒐𝒖 𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚 𝒎𝒆Where stories live. Discover now