Laurance

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CAPITOLO 29 "Laurance"

Camminava ormai da ore senza una meta precisa; ma in fin dei conti... non gli importava.
La sua mente continuava a vagare veloce tra un ricordo e l'altro, percorreva memorie risalenti a molti anni prima, ma indelebili nella sua anima come se non fosse passato neanche un anno.
Meyer lo aveva cresciuto, lui era stato il suo vero padre, oltre ad Albert Francis De la Roux.
Joseph Meyer aveva accettato di dargli il suo cognome, lo aveva riconosciuto come figlio...
E adesso era morto.
Tom Marshall ancora una volta gli aveva tolto qualcosa di caro; ancora una volta lo aveva privato dell'amore genitoriale che lui invece, il suo vero padre biologico, non aveva mai provato nei suoi confronti. Qualsiasi cosa avesse fatto nella sua vita, lo aveva fatto solo per poterlo usare un giorno. Lui dopotutto era solo questo... la sua arma.
Tom Marshall lo aveva messo al mondo per errore ed aveva colto la palla al balzo; lo aveva addestrato per anni a diventare la sua arma segreta. In fin dei conti... perché non usare un potere così grande come quello che gli scorreva nelle vene?
E oltre ad avergli dato quel fardello da portare per sempre, adesso gli aveva tolto tutto.
Gli aveva tolto sua madre, suo padre e adesso stava cercando di togliere di mezzo tutti i suoi amici e le persone importanti nella sua vita. Aveva costruito terra bruciata intorno a lui, aveva fatto in modo che rimesse solo al mondo; aveva allontanato anche Rose, solo avendo il suo stesso sangue nelle sue vene. Tom Marshall gli aveva rovinato al vita. 
Strofinò un paio di volte le mani per scaldarsi e le infilò nelle tasche dei jeans. Per essere fine Ottobre faceva piuttosto freddo a Portland e lui era uscito solo con una t-shirt addosso pur di non farsi scoprire fuori dall'Accademia.
Non sapeva neanche lui perché avesse deciso di tornare proprio a Portland, ma quando improvvisamente si ritrovò davanti ad un bar che aveva un'aria molto familiare allora capì.
Voleva allontanarsi dall'Accademia, aveva bisogno di stare da solo per un po'.
Non aveva pensato ad alcun luogo in particolare quando aveva deciso di attraversare il portale, ma il suo inconscio lo aveva portato lì; lì dove aveva vissuto i primi anni della sua vita, lì dove aveva avuto davvero una famiglia.
Una madre ed un padre.
Maxime e Joseph, i suoi veri genitori.
Fissò l'insegna malridotta di quel locale ormai non più così bello come una volta.
Era passato davvero molto tempo da quando ci era stato l'ultima volta, dovevano essere oassti più o meno dieci anni circa.
Si accese una sigaretta e si appoggiò ad un palo della luce, osservando pensieroso dalla vetrina i tavoli all'interno del locale.
Genitori e figli, amici, coppie... se ne stavano comodamente seduti al caldo a mangiare, chiacchierando del più e del meno come se niente intorno a loro fosse in pericolo. Come se non ci fosse niente da temere e nessuna minaccia di guai in vista.
Mondani...
Forse sarebbe stato meglio nascere semplicemente mondano, senza conoscere tutti i lati di luce e buio del mondo invisibile.
Tirò su con il naso un paio di volte e si asciugò svelto con il gomito le lacrime che minacciavano di scendere dai suoi occhi. Gettò la sigaretta, poi entrò nel bar rapidamente.
Un profumo di pancakes lo investì non appena mise piede all'interno del locale e la porta si richiuse veloce alle sue spalle, provocando il tintinnio assordante del campanello appeso sopra alla porta d'ingresso.
Quel suono, lo avrebbe riconosciuto tra mille... era ancora nella sua memoria più remota.
De la Roux lo aveva riportato in quel posto numerose volte dopo la morte di sua madre, sapeva quanto ci tenesse e quanto gli piacesse, ma adesso erano minimo dieci anni che non ci tornava e tutto sembrava essere cambiato.
Un po' come lui in fin dei conti.
Si guardò intorno analizzando l'interno del locale decisamente diverso da come lo ricordava; le panche in pelle rossa erano state sostituite con delle panche in stoffa a quadretti molto piccoli e le sedie erano state sostitutite da sgabelli in legno. 
Dopo un'ultima occhiata intorno a lui, decise di sedersi sullo sgabello davanti al bancone.
Prese posto accenendosi un'altra sigaretta... probabilmente era l'unico posto in tutta l'America in cui si poteva ancora fumare all'interno.
"Cosa ti porto?"
La voce della cameriera attirò la sua attenzione, costringendolo a voltarsi verso di lei.
Una donna sulla cinquantina, capelli castani, piuttosto in carne. Il suo tono lasciava intendere la dimestichezza nel suo lavoro, che probabilmente faceva da svariati anni.
"Allora?" insistette continuando ad osservarlo ed avvicinandogli un posacenere.
Laurance buttò fuori una folata di fumo.
"Qualsiasi cosa tu voglia... basta che sia molto alcolico" rispose sotto voce.
La donna lo guardò meglio, avvicinandosi appena a lui.
"Hai ventun'anni?" gli chiese squadrandolo. Al ragazzo scappò una risata, poi tirò fuori dalla tasca posteriore dei jeans il documento e glielo porse facendo un altro tiro dalla sigaretta.
"Ventitrè" disse tranquillo, e la donna prese in mano il documento per verificare che dicesse il vero.
"Fammi uno Jagerbomb" aggiunse poi guardandosi intorno per studiare l'ambiente ancora scombussolato. La donna annuì continuando ad osservarlo, poi gli ridiede il documento e sparì dall'altra parte del bancone.
Non pensava facessero anche drink lì dentro, ma sembravano essere cambiate molte cose.
In fin dei conti era passato davvero molto tempo dall'ultima volta che era stato lì; l'ultima volta in cui si era sentito sereno ed in pace con sé stesso probabilmente.
Ancora troppo piccolo per capire cosa volesse dire avere il sangue di Tom Marshall nelle vene.
Appoggiò i gomiti sul bancone e si stronfinò il viso rassegnato sospirando.
Non sapeva più cosa fare, aveva perso la bussola.
Non aveva più nessuno al mondo che potesse stargli accanto; era un mostro, agli occhi di tutti.
Aveva deluso tutti.
Fece un altro tiro di fumo e ringraziò la cameriera quando gli portò finalmente il suo bicchiere stracolmo. Senza pensarci due volte, ingurgitò metà del contenuto in un solo sorso. Il liquido molto alcolico gli bruciò per un istante la gola, ma fu quasi ringenerante e continuò a buttare giù in apnea. Poi, appoggiò il bicchiere sul bancone e, sentendo lo sguardo della cameriera fisso su di lui, si voltò a guardarla e la scoprì ad osservarlo in modo strano.
Come pensava...
"Preparamene già un altro per favore, non credo durerà molto questo..." disse abbassando lo sguardo sul contenuto marroncino nel bicchiere di vetro.
Tutti quelli intorno a lui facevano una brutta fine, non poteva più restare a guardare. Probabilmente andarsene ed allontanarsi dall'Accademia era stata la decisione migliore, avrebbe salvato la vita a molte persone. Tutti coloro che si erano trovati sulla strada di Marshall non potevano più raccontarlo.
Tutti, eccetto lui.
Suo figlio.
Uno mostro proprio come lui.
Sarebbero stati meglio senza di lui.
Marshall avrebbe cessato di odiare De la Roux per aver tirato su suo figlio con ideologie diverse dai suoi, Rose sarebbe stata felice di non averlo più tra i piedi ed avrebbe potuto tranquillamente eseguire il contro incantesimo per fermarlo anche da sola e Beth... beh, per Elisabeth dimenticarlo sarebbe stato solo un bene.
Chi poteva stare accanto ad una persona come lui?
Si scolò con avidità anche il restante alcolico nel bicchiere e la cameriera gli appoggiò un nuovo drink davanti a lui, sul bancone.
"Grazie" farfugliò a bassa voce, ma la donna non si allontanò da lui.
"Ehi ragazzo tutto bene?"
Sorpreso per un istante alzò lo sguardo sulla donna davanti a lui.
"Brutta giornata" disse solamente iniziando a sorseggiare il suo nuovo drink.
"Posso chiamare qualcuno per te?"
Laurance rise, una risata amara che si spense in pochi istanti.
"No" scosse la testa "nessuno" aggiunse spegnendo la sigaretta nel posacenere.
Era rimasto solo.
"Vacci piano, sono solo le dieci di sera" lo ammonì la donna.
"Non credo importi a qualcuno" rispose secco il ragazzo bevendo un altro sorso.
"Come ti chiami?"
Laurance la guardò preso in contropiede, e rispose confuso.
"Laurance..."
"C'è sempre qualcuno a cui importa Laurance, anche se magari noi non lo sappiamo"
"No io non credo sia così"
"Sei ancora giovane" disse la donna con un sorriso "quando si è giovani si ha la tendenza a vedere tutto nero o bianco... poi si cresce, e il tempo passa e la vita va avanti... e capisci che sono più le zone grigie che quelle definite"
Il ragazzo la guardò per un istante, immerso nei suoi pensieri.
"Sono rimasto da solo" sputò fuori il ragazzo, senza neanche sapere perché stesse parlando con una sconosciuta, ma la donna gli sorrise dolcemente.
"Impossibile... abbiamo sempre qualcuno al nostro fianco, qualcuno che si prende cura di noi, ma non sempre lo sappiamo o riusciamo a vederlo"
Laurie buttò giù le ultime due dita di alcolico nel bicchiere e lo riappoggiò sul bancone.
"Forse hai ragione... ma questa sera non ho voglia di pensare" disse scuotendo la testa "questa sera è tutto nero... me ne porteresti un altro, per favore?"
La donna lo guardò per un istante tristemente, poi annuì.
"Arriva subito e... quando è tutto buio alla fine arriva sempre una luce che ci tira fuori" concluse con un sorriso. Poi si allontanò per andare a preparargli l'ennesimo bicchiere, lasciandolo riflettere sulle sue ultime parole.
Nella sua testa continuavano a frullare immagini distorte e confuse, molto probabilmente causate dall'alto tasso alcolemico che aveva dopo ben due Jegerbomb.
Aveva esagerato, ne era consapevole, ma non gli importava più.
In quel momento voleva solo non pensare e quella sensazione di confusione e stordimento che provava stava iniziando ad essere quasi piacevole. Per un istante si sentì leggero, come se stesse fluttuando in aria. Sbatté un paio di volte le palpebre cercando di mettere a fuoco il bancone davanti a lui, scoprendosi incredibilmente ancora con il culo sullo sgabello; proprio come qualche minuto prima.
Se avesse voluto, avrebbe potuto volare.
Ma non gli interessava un cazzo dei suoi poteri, se avesse potuto avrebbe scelto di essere un mondano.
Si guardò le mani con disprezzo, consapevole di cosa avrebbe potuto fare con il potere dentro di sé.
Rose forse in fondo aveva ragione, aveva visto ciò che lui non era mai riuscito a vedere o che gli avevano insegnato a non vedere... la loro magia era pericolosa.
 Tutti loro erano pericolosi, o forse solo lui era pericoloso.
Tutti quelli intorno a lui morivano, o se ne andavano, o venivano delusi...
Tutti coloro che gravitavano intorno a lui alla fine dei conti erano tristi e infelici, o con qualche perdita sulle spalle e qualche motivo per piangere. Perché allora continuava a starsene lì?
Non c'era un modo per risolvere tutti i suoi problemi?
La cameriera gli appoggiò il terzo bicchiere davanti agli occhi e lui abbassò lo sguardo sul contenuto scuro del bicchiere. Non attese neanche un minuto, iniziò a sorseggiarlo immeditamente con avidità.
Ingoiò metà del liquido strizzando gli occhi per il bruciore, quando improvvisamente ebbe un'illuminazione.
Si fermò di scatto e sbattè il bicchiere sul bancone.
Ecco cosa doveva fare...
Lui doveva uccidere Tom Marshall.
Non Rose, non Sebastian, non lui e Rose insieme...
Tom Marshall era un suo problema, spettava a lui ucciderlo; era il suo compito.
Avrebbe vendicato sua madre, avrebbe vendicato Jospeh, avrebbe vendicato tutti gli anni di dispiacere di De la Roux ed avrebbe vendicato tutte le persone che quell'uomo che osava definirsi ancora suo padre aveva ucciso negli anni.
Doveva ucciderlo.
Scattò in piedi e, dopo aver mollato delle banconote sul bancone, si incamminò rapido fuori dal locale, ignorando le raccomandazioni della cameriera alle sue spalle.
Non appena uscì all'aria aperta, si strinse le braccia al corpo, infilando le mani in tasca.
Era buio adesso, e faceva decisamente più freddo.
Camminò svelto verso un vicolo buio e si incamminò all'interno rallentando il passo.
Era certo che Marshall non ci avrebbe messo molto a trovarlo, lo faceva seguire sempre, e lui se n'era accorto. Avrebbe solo dovuto aspettar eun po', e poi lo avrebbe avvicinato in qualche modo...
E lui non aspettava altro.
Era arrivato il momento di mettere termine a quella storia.
Si guardò intorno, i contorni dei palazzi erano sfocati a causa dell'alcol e non c'era ancora nessuno all'orizzonte. Si appoggiò con la schiena al muro di una casa per sostenersi meglio e si accese una sigaretta in attesa che sbucasse qualcuno da qualche parte, forse Tom Marshall stesso. Chiuse gli occhi cercando di far fermare i palazzi che giravano vorticosamente intorno a lui... O forse non avrebbe rischiato così tanto dopo essere riuscito a scappare dalle prigioni del Conclave...
Improvvisamente, un rumore alla sua destra destò i suoi sensi, attirando immediatamente la sua attenzione. Chiuse nuovamente gli occhi cercando di recepire la forza ergetica dello sconosciuto visitatore e, non appena la riconobbe, un ghigno soddisfatto si dipinse sul suo volto.
Riaprì gli occhi e fece un altro tiro dalla sigarette, buttando poi fuori un po' di fumo dalla bocca e da naso, senza voltarsi.
Aleggiava un silenzio tombale intorno a loro, rotto soltanto da qualche gocciolina che ricadeva su qualche grondaia di metallo dalla pioggia di qualche ora prima.
"Cosa ci fa mio figlio... qui... tutto solo?"
La voce di Marshall stuzzicò le sue orecchie come un fazzoletto rosso stuzzica un toro; Laurie si morse il labbro per non perdere le staffe e tirò un'altra boccata di fumo per rilassare i nervi. Ignorò la testa che continuava a vorticargli fulminea e quella sensazione di nausea che cominciava a farsi sentire sempre più forte; aveva decisamente esagerato con gli alcolici ma non gli interessava.
"Pensavi che non mi sarei accorto che mi fai seguire in qualsiasi posto io vada?" gli chiese continuando a non guardarlo.
"Aspettavo da tanto il momento in cui avremmo potuto parlare da soli"
"Beh adesso siamo soli... parla" disse con tono disinteressato il ragazzo.
"Unisciti a me, vieni via con me... lontano da tutte queste persone che non vogliono il tuo bene. Loro ti temono Laurance, temono il tuo potere, per questo ti tengono al guinzaglio"
"E chi mi vorrebbe bene qui? Tu forse?" chiese con ironia nel tono di voce Laurance.
"Si, io ti voglio bene figlio mio... farei di tutto per te, ti ho fatto sempre seguire perché mi preoccupavo per te e..."
"Stai zitto!" urlò improvvisamente il ragazzo interrompendolo "devi stare zitto e non osare dire che ti preoccupi per me" aggiunse fuori di sé. In un istante, gettò il mozzicone della sigaretta e si voltò verso l'uomo per guardarlo meglio in faccia con tutto il disprezzo che poteva provare in quel momento.
"Tu mi hai tolto tutto. Mi hai tolto mia madre, mio padre, i miei amici... tutto" esclamò con rabbia "e osi dire che ti preoccupi per me e mi vuoi bene?" ripeté con rancore fronteggiandolo.
L'uomo davanti a lui fece un passo in avanti, venendo finalmente illuminato dalla luce cupa del lampione.
Laurance guardò gli occhi verdi di suo padre, proprio come i suoi.
"La storia di tua madre..." si interruppe per un istante guardandosi intorno, poi riprese a parlare "Maxime era l'amore della mia vita, l'unica donna che mi abbia mai amato per quello che sono. Non le avrei mai fatto del male di proposito, mai. Quello che è successo è stato un errore"
"Un errore?" ripetè il ragazzo incredulo "lei è morta per assecondarti nei tuoi piani folli!" esclamò scuotendo la testa "come fai a non capire che tutto quello che fai è folle? Uccidi le persone per avere ciò che vuoi, per ottenere ciò che pensi spetti a te"
L'uomo guardò con tranquillità il ragazzo, infilando le mani in tasca.
"Sei ancora giovane Laurance e non conosci il mondo. Pensi che sia tutto bello e dai importanza a valori come l'amicizia, l'amore e l'onestà... ma ti renderai conto ben presto che la vita reale non è così. Nella vita devi lottare per ottenere ciò che vuoi, con ogni mezzo"
"Uccidendo ogni persona che trovo sul mio cammino?!"
"Tu hai un grande potere Laurance, e quando te ne renderai conto sarà difficile gestirlo se non sarò al tuo fianco..."
"Io conosco benissimo i miei poteri" ribatté il ragazzo alzando la voce "e li conosco e li so controllare grazie ad Albert, non di certo grazie a te... non ti chiederò mai aiuto" aggiunse stringendo i pugni.
"De la Roux si è divertito ad usarti per riempire il suo desiderio di paternità disatteso, svegliati Laurance. Ti ha insegnato tutte quelle cazzate perché ti teme anche lui, così come teme me"
Laurance strinse i pugni dalla rabbia, cercando di ignorare l'istinto di prendere a pugni l'uomo davanti a lui.
"Mi hai quasi ucciso a Venezia l'anno scorso" gli ricordò il ragazzo "e credi di poter venire qui a raccontarmi tutte queste cazzate adesso? Pensi che io ti creda? Pensi che io dia retta a tutte le tue parole inutili?" urlò Laurance annebbiato.
"Modera i toni ragazzino" lo ammonì l'uomo facendo un altro passo avanti per avvicinarsi a lui e Laurance perse le staffe definitivamente. Allungò il braccio senza alcun preavviso e scagliò un incantesimo contro l'uomo che venne sbalzato via, impattando con la schiena sul muro.
"Non osare dirmi cosa fare!" urlò fuori di sé il ragazzo, ma Marshall si rialzò in un attimo e lo guardò cupo.
"Non voglio farti del male, adesso basta Laurance" disse con voce roca "vieni via con me." gli ordinò tornando ad avvicinarsi a lui, ma Laurance scagliò un altro incantesimo, che però questa volta bloccato senza alcuna difficoltà dallo stregone. Il ragazzo riprovò a colpirlo scagliando una serie di colpi, ma Marshall li parò tutti uno dopo l'altro, senza alcuna fatica.
Improvvisamente, invaso da una rabbia cieca, Laurance si gettò sull'uomo cercando di colpirlo con un pugno ma lo fermò senza problemi e, afferrandolo malamente per il braccio, lo capovolse per terra facendolo impattare duramente al suolo.
Cercò di rialzarsi, ma un calcio nello stomaco lo atterrò definitivamente.
Laurance si abbandonò per terra, chiudendo gli occhi per un istante e cercando di respirare un po' d'aria. Il dolore lancinante allo stomaco non gli permetteva di respirare bene e la rabbia che gli scorreva nelle vene rapidamente rischiava di farlo impazzire. Sbuffò distendendosi supino ed improvvisamente sentì i suoi occhi bruciare terribilmente. Era nella merda.
Si rimise a sedere con difficoltà, rialzandosi in piedi barcollante sotto lo sguardo attento di suo padre. Il sapore ferroso del sangue invase la sua bocca.
Finalmente Laurance alzò lo sguardo ed incrociò gli occhi di suo padre davanti a lui.
Marshall scattò fulmineo verso di lui, intrappolando il suo collo tra una mano, mentre con l'altra gli afferrò la mascella tirandolo verso di lui. Laurie strinse i pugni dalla rabbia guardandolo rancoroso, ma senza abbassare lo sguardo.
Non poteva fare niente, Tom Marshall era troppo forte per lui in quel momento.
"Sei ubriaco" disse l'uomo guardandolo meglio e Laurance continuò a sostenere il suo sguardo, leccandosi via il sangue dal labbro probabilmente rotto in silenzio.
"Se tu non avessi bevuto mi sapresti tener testa ragazzino" disse con un ghigno stringendo un po' di più la morsa intorno alla sua mascella.
"Giochi a fare il padre questa sera?" sputò fuori a denti stretti il ragazzo, fronteggiandolo con lo sguardo. Marshall ridacchiò divertito, avvicinandosi ulteriormente a lui.
"Non sfidarmi Laurance, sai di cosa sono capace. Non sfidare la mia pazienza"
"Uccidi allora dai" lo sfidò il ragazzo "ammazzami come hai fatto con mia madre, con Joseph e con tutte le altre persone che hai ucciso... avanti fallo!" lo incitò ridendo decisamente brillo.
Ormai non gli importava più di niente.
Voleva solo vedere Tom Marshall morto, e se non avesse potuto vederlo avrebbe preferito morire luis stesso.
"FALLO HO DETTO" gli urlò in faccia il ragazzo fuori di sé.
Marshall continuò a guardarlo in silenzio, il suo sguardo per la prima volta indecifrabile.
Laurance sentì gli occhi bruciare sempre di più, poi, inaspettatamente, Marshall mollò la presa spingendolo poco lontano da lui e fece un passo indietro, ristabilendo le distanze.
Continuarono a guardarsi in sielnzio, finché non spezzo lui stesso il silenzio.
"E' tardi e sei ubriaco. Vai a casa Laurance" disse serio.
Poi, così com'era comparso, aprì un portale e sparì in un istante, lasciandolo solo in quel vicolo che aveva assistito alla quasi resa dei conti tra lui e suo padre.
Laurance continuò a fissare per svariati minuti il punto in cui suo padre era scomparso nel portale, interrogandosi sul perché non lo avesse ucciso.
Avrebbe potuto farlo, ma non lo aveva fatto.
Aveva intenzione di usarlo come arma in futuro? O forse si era finalmente rassegnato al fatto che non si sarebbe mai unito a lui?
Una goccia d'acqua cadde sulla sua fronte, poi un'altra sul suo naso, ed infine un acquazzone si abbatté improvvisamente su Portland cogliendolo di sorpresa. Come se si fosse risvegliato da un sogno, la consapevolezza della situazione intorno a lui tornò a fargli visita, facendolo ripiombare in una realtà che avrebbe solo voluto dimenticare.
Jospeh Meyer era morto; l'uomo di cui portava fieramente il cognome era morto.
Rose lo odiava e probabilmente non si sarebbe mai più fidata di lui.
De la Roux... beh lo aveva deluso. Sapeva di aver deluso Francis, dopo tutto quello che aveva fatto per lui...
Non c'era una persona al mondo che in quel momento sentisse vicina.
Era solo.
Riprese fiato rendendosi conto di aver trattenuto il respiro fino a quel momento e si incamminò nuovamente nella strada principale, trascinandosi stancamente sotto la pioggia. Tutto intorno a lui girava confuso, ma i suoi pensieri erano fin troppo chiari nella loro disorganizzazione.
Si ritrovò nuovamente davanti alla porta dello stesso locale e, come un randagio senza casa, entrò di nuovo all'interno dirigendosi verso il bancone. Si sedette sullo stesso sgabello e per un istante incrociò lo sguardo della cameriera di prima.
La donna si avvicinò a lui, abbassandosi per guardarlo meglio.
"Cosa ti è successo? Hai fatto a pugni?" gli chiese apprensiva notando il suo labbro rotto e qualche taglio sulle braccia. Laurance scosse la testa tenendo lo sguardo fisso sul bancone sotto di lui e la donna sospirò.
"Aspetta qui, ti porto del ghiaccio ragazzo" disse apprensiva sospirando.
Laurance seguì con lo sguardo la donna che si infilava nel retro e, incapace di trattenersi oltre, scoppiò a piangere nascondendosi tra le braccia ed abbandonando la testa sul bancone.
Cercò di non far rumore per non attirare l'attenzione, nonostante alle tre di notte fosse ovviamente vuoto quel posto, e soffocò i singhiozzi affonando le mani nei capelli.
Come si era ridotto così?
Sbronzo sul bancone di un locale a piangere.
Questo era fin troppo squallido anche per lui.
Ma in fin dei conti cosa non era squallido nella sua vita?
Avrebbe solo voluto sparire.
Improvvisamente, senza alcun preavviso, una mano calda inaspettatamente si appoggiò sulla sua spalla delicatamente, riscaldandolo appena dal gelo che si era impossessato di lui da quando era stato fuori qualche minuto prima.
Non si mosse, ne alzò la testa.
Troppo imbarazzato nel farsi vedere in quello stato da qualsiasi persona, troppo pieno per stoppare il suo pianto quasi isterico. Premette ancora di più la testa sul bancone, nascondendo meglio il volto tra i ciuffi di capelli. Non aveva idea di chi fosse, probabilmente la cameriera di poco prima, ma in quel momento non aveva voglia di vedere nessuno.
Era solo, avrebbe fatto bene ad abituarcisi.
Un'altra mano si appoggiò sul suo braccio gelido, cercando di prendergli una mano ma resistette senza mollare la sua presa sui capelli.
"Vai via" farfugliò con voce rotta dal pianto.
"Non me ne vado Laurance"
Improvvisamente...
La luce in fondo al tunnel.
I suoi singhiozzi si bloccarono all'istante sorpresi anche loro, riconoscendo all'istante la voce maschile che aveva parlato.
La stessa voce che era sempre stata in grado di calmarlo, farlo ragionare, tranquillizzarlo.
La stessa voce che lo aveva sempre tirato fuori dai guai. 
Aprì gli occhie tirò su con il naso, fissando il bancone e lentamente voltò la testa senza staccare la fronte dal bancone.
La figura di Albert De la Roux invase il suo campo visivo.
L'uomo gli sorrise rassicurante, poi gli fece cenno verso lo sgabello affianco a lui.
"Posso?" chiese pacato.
Laurance lo fissò sconcertato, privo di qualsiasi parola.
Non pensava che qualcuno si sarebbe accorto della sua assenza, o meglio, non pensava che qualcuno sarebbe andato a cercarlo. Pensava che fossero tutti impegnati tra la missione a New York ed il ritrovamento di Joseph. Tutti avevano qualcosa da fare, qualcosa da indagare, qualcosa da ricercare, qualcosa da perseguire... lui invece non aveva niente, se non una sconfitta in tasca contro Tom Marshall ed un tasso alcolemico decisamente troppo elavato.
"Allora? Posso sedermi?" ripeté De la Roux, ed il ragazzo annuì confuso.
L'uomo prese posto affianco a lui e poi lo guardò attentamente.
"Come mi hai trovato?" farfugliò con voce impastata dall'alcol il ragazzo.
"Andrew Thorne stava cercando Marshall" sospirò lo stregone "e ha tracciato la sua energia qui... quando mi ha detto dove si trovava ho immaginato che fossi qui anche tu" aggiunse incrociando le mani davanti a sé.
"E tu dov'eri?" gli chiese il ragazzo confuso.
L'uomo lo guardò spiazzato, come se gli avesse chiesto un'assurdità.
"Ti stavo cercando Laurance!" esclamò stupefatto "sei sparito senza dire niente a nessuno... ci hai fatti spaventare tutti! Non ti ho mai impedito di fare niente, ormai sei grande abbastanza... ma in questa situazione, con Marshall a piede libero..." lo riprese guardandolo in attesa di una risposta, che non arrivò. Laurance lo fissò a bocca aperta, tirando finalmente su la testa ed appoggiando il gomito sul tavolo.
"Mi stavi cercando?" ripeté sorpreso e De la Roux sospirò scuotendo la testa rassegnato.
"Certo che ti stavo cercando... allora si può sapere cosa ti è successo?"
"Ho discusso con Tom" disse il ragazzo guardando davanti a sé.
"Che cosa?!"
"Ovviamente ho perso" ridacchiò amaramente il ragazzo, ma Albert lo interruppe subito.
"Ti ha ridotto lui così?"
Laurance si voltò a guardarlo e per un istante, quando incrociò lo sguardo dell'uomo, si sentì ancora più vuoto di prima. Quella sensazione di solitudine e vuoto che provava lo stava logorando dentro, come se non riuscisse più a controllare le sue emozioni ingabbiate per troppo tempo.
"Mi ha tolto tutto" sputò fuori il ragazzo ormai senza fiato, e lo stregone lo fissò in silenzio, quindi decise di proseguire "mia madre, Joseph, Rose..."
"Cosa c'entra Rose?!"
"Non si fida più di me da quando ha scoperto che Tom Marshall è il mio padre biologico. I nostri incantesimi combinati non sono più forti come una volta, non mi parla più come una volta, niente è più come una volta" ammise sentendo gli occhi farsi sempre più bagnati e la vista sempre più offuscata.
"Certo che Rose si fida di te" disse l'uomo scuotendo la testa.
"No prima che Edward mi dicesse di Joseph noi abbiamo parlato e... è tutto un casino"
"Laurance sono sicuro che Rose si fidi di te, totalmente... ma lascia stare Rose in questo momento..." gli disse guardandolo preoccupato "perché sei venuto qui?"
"Non lo so, è stato il primo posto che mi è venuto in mente" rispose il ragazzo atono "questo è il posto in cui venivo sempre con..."
"Tua madre... si lo so" lo interruppe lasciandolo di stucco.
Il ragazzo rimase in silenzio, e tornò a guardare inespressivo il muro davanti sé.
"Torniamo a casa Laurance" gli disse l'uomo appoggiandogli una mano sulla schiena.
"Quella non è casa mia" farfugliò sotto voce senza guardarlo.
"Certo che lo è, lo è sempre stata e lo sarà sempre"
"Casa è dove c'è una famiglia, ed io non ho più una famiglia"
"Hai me" disse d'istinto l'uomo, ed il ragazzo si voltò finalmente a guardarlo.
"Avrai sempre me Laurance" gli ripeté rimarcando il concetto.
Strinse la presa introno alle sue spalle ed il ragazzo crollò sfinito contro la sua spalla, accasciandosi su di lui e scoppiando a piangere silenziosamente. L'uomo strinse amorevolmente la presa intorno al corpo magro di Laurie, sostenendolo saldamente.
"Non dovevi venire qui da solo, è pericoloso" gli disse l'uomo sotto voce, sempre tenendo salda la presa "mi preoccuperò sempre per te" aggiunse sotto voce. 
"Ho combinato un casino..." ammise con voce rotta dal pianto.
"No... tu non hai fatto niente. Sei stato solo vittima di decisioni sbagliate di qualcun altro"
"Vorrei poter cambiare le cose"
"Le cose non si possono mai cambiare, si possono solo affrontare a testa alta... quindi adesso torniamo all'Accademia, hai bisogno di riposare e domani penseremo a cosa fare"
Il ragazzo annuì in silenzio, restando immobile.
La cameriera si avvicinò a loro, porgendogli un sacchetto di ghiaccio che appoggiò sul bancone.
"Ecco il ghiaccio... faresti meglio a mettercelo subito, se no si gonfierà" disse indicando il labbro del ragazzo, poi si voltò verso De la Roux "lo porti a casa, ha bevuto troppo il ragazzo... brutta serata ha detto"
"Lo farò... la ringrazio" rispose l'uomo con un sorriso, ma la donna non si congedò.
"E' suo figlio?" gli chiese a bruciapelo, inconsapevole di aver fatto una domanda delicata.
Laurance trattenne il respiro, punto ancora una volta sul vivo. 
De la Roux rimase in silenzio per un istante, poi guardò il ragazzo seduto al suo fianco.
Ricordava ancora quando era piccolo; non c'era un gioco che lo soddisfasse, non c'era nessun modo per farlo stare tranquillo se non chiuderlo nella biblioteca. A differenza di ogni altro bambino, Laurance passava ore ed ore a leggere libri di incantesimi e pozioni e con il passare del tempo aveva iniziato ad esercitarsi per controllare al meglio la sua magia.
Poi era cresciuto... la sua magia aveva fatto progressi sempre più netti ed aveva iniziato ad andare alle feste, come ogni altro adolescente del mondo. Ogni festa nel mondo era sua, lui doveva partecipare a tutte indistintamente, in qualsiasi posto si festeggiasse.
Girava il mondo alla ricerca di neanche lui sapeva cosa probabilmente, aveva pellegrinato in ogni posto con storia magica alle spalle. All'Accademia aveva studiato ed era stato ripagato, non aveva studiato e si era beccato i suoi votacci. Si era fidanzato, poi lasciato, poi aveva avuto qualche ragazza qui e lì, poi aveva deciso di godersi la vita...
Crescendo era diventato sempre più strano; si portava a presso quell'aria continuamente scherzosa e carismatica, la maggior parte delle volte felice ed esuberante ma a tratti infelice, la testa sempre tra le nuvole, un abito per ogni occasione, una risposta pronta per ogni evenienza e l'animo di un vero stregone eccentrico e un po' svitato ma con un cuore grande.
Laurance Meyer era tutto questo insieme, e lui non poteva essere più orgoglioso di lui.
Nonostante tutto. 
Osservò attentamente il labbro rosso e tumefatto di Laurance, i suoi capelli ricci spettinati ed il viso decisamente segnato dagli avvenimenti e dall'alcol.
Il suo sguardo vuoto era fisso nel suo, ormai apatico.
De la Roux tornò a guardare la cameriera e le sorrise amichevolemte.
"Sì, è mio figlio" disse con orgoglio.

Ciao a tutti! 
Ultimo capitolo con un punto di vista centrato sul personaggio in questione e... direi che con Laurance ho chiuso in bellezza! Era un po' che non compariva nella storia e direi che gli ho dedicato ampio spazio. Ho deciso di esplorare un po' il suo arpporto con De la Roux, in modo da far comprendere meglio il legame che li unisce. 
Non sempre i legami più forti sono quelli di sangue; a volte dobbiamo tutto a persone che non hanno il nostro stesso dna ma che ci vogliono bene come se lo avessero.
Cosa ne pensate del capitolo?
Dal prossimo si riparte con l'azione!

Claimed by the shadows - II VolumeWhere stories live. Discover now