116. Lavinia ♀ L'esca (parte I)

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L'angelo se ne sta in piedi, sul tetto. Ha l'aria stanca, ma soddisfatta, ha combattuto e vinto e adesso può rilassarsi e mettere via la spada.

Lo invidio. Anche a me piacerebbe chiudere gli occhi e trovare la pace, ma non mi è concesso. Devo restare vigile. La mia battaglia deve ancora iniziare.

Sbatto le palpebre un paio di volte per schiarirmi la vista. Provo a muovere braccia e gambe e sento i muscoli flettersi, indolenziti.

La pietra del pavimento è fredda sotto i miei palmi, ma accolgo con piacere anche questa sensazione. Mi sento viva, ammaccata ma viva. Mi rendo conto che non indosso più la camicia da notte sporca e strappata, ma un abito nero di raso e merletto, con la vita stretta e le maniche lunghe, legate all'indice da un anello dorato. L'orlo della gonna arriva fino ai piedi, avvolti in eleganti scarpette di velluto. Interrogarmi sul significato del mio nuovo abbigliamento non mi porta da nessuna parte, perciò, stando attenta a non inciampare nell'abbondanza di tessuto, mi alzo e mi avvicino al parapetto.

Vista da quassù, Roma è una meraviglia, con le basiliche e gli edifici storici che spiccano in mezzo ai condomini, divisa in due dal nastro blu del Tevere. Il vento ha spazzato via le nuvole e sebbene il sole sia tramontato, il cielo è tinto di un bagliore arancione che si riflette sui tetti di tegole rosse e dà l'impressione di una città lambita dalle fiamme.

Rabbrividisco e getto un'altra occhiata all'angelo. In questa atmosfera quasi irreale, le sue ali di bronzo, segnate dalle intemperie, sembrano risplendere.

«Ti piace quello che vedi?» Mi volto e mi ritrovo a fissare una figura coperta da un lungo mantello nero con cappuccio, simile a un'ombra.

L'entusiasmo svanisce e resto immobile e rigida come la statua che ci osserva dall'alto. «È un'altra delle tue illusioni?»

L'Oscuro ignora il mio turbamento. Quando parla, il suo tono è pacato e tranquillo. Fin troppo. «Io lo trovo magnifico. La terrazza di Castel Sant'Angelo è uno dei punti d'osservazione più suggestivi per ammirare la città».

Un campanello d'allarme prende a suonare nella mia testa. «Perché mi hai portata qui?»

«Semplice, mia cara. Voglio che ti goda lo spettacolo». Anche se ha il volto nascosto, intuisco che sta sorridendo. Io invece so di essere impallidita. «Vuoi distruggere la città?»

In silenzio, si avvicina alla balaustra e getta un'occhiata in basso, verso il ponte gremito di gente. «Un tempo vi ho invidiato, sai?» Dichiara dopo una lunga pausa. «Voi umani eravate così imperfetti, inferiori sotto qualsiasi punto di vista, ma avevate a disposizione qualcosa che io potevo solo sognare. Un mondo intero, pieno di delizie, e la luce del sole a illuminarne la bellezza. Una bellezza maltrattata e corrotta, ma pur sempre preferibile al vuoto in cui io mi maceravo da sempre». Scuote leggermente il capo, facendo dondolare la stoffa dell'ampio cappuccio e io mi domando quali fattezze abbia assunto e perché non le abbia ancora mostrate. «A lungo ho osservato tutto questo, desiderando farne parte.» Si interrompe e torna a guardare nella mia direzione. «Ma per realizzare il mio desiderio avrei dovuto possedere un corpo».

Fa un passo verso di me che istintivamente indietreggio. Lo sento sogghignare mentre la sua mano appare da sotto al mantello, tira via il cappuccio e rivela il volto celato finora.

Annaspo in cerca d'aria. «Tu? Tu eri morto...»

Gli occhi verdi di Amedeo luccicano quando sorride. «Il demone che conoscevi è morto. Questo involucro adesso appartiene a me».

Rimango in silenzio, incapace di spiccicare una sola parola, e lui prosegue: «L'ambizione era il suo punto debole e lo ha condotto dritto nella mia rete».

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