95. Lavinia ♀ La vendetta del demone

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Non voglio morire, non voglio morire.

Non voglio...

È il dolore a destarmi e a farmi comprendere che sono ancora viva. Ho un sapore di cenere in bocca, il corpo premuto su una superficie fredda e dura. Provo a cambiare posizione per dare sollievo alle membra indolenzite, ma qualcosa me lo impedisce. Sgomenta, mi rendo conto che ho i polsi e le caviglie legati insieme da nodi robusti, impossibili da sciogliere. Strattonare le corde non serve a nulla se non a stringerle fin quasi a bloccare la circolazione.

Gemo e sbatto le palpebre un paio di volte prima di sollevare il capo, con estrema cautela, per guardarmi attorno. L'ambiente in cui mi trovo è buio e freddo, un antro scavato nella roccia. Non ci sono porte, né finestre, solo un fioco chiarore filtra attraverso una sottile fenditura nella parete.

La paura è un serpente che giunge di soppiatto e mi avvolge tra le sue spire. Dove sono? Come sono finita in questo posto?

La mente si snebbia di colpo e i ricordi tornano al loro posto: Damian, ferito e sanguinante, che mi urla di scappare, il terrore nel ritrovarmi di fronte a qualcosa di ignoto e spaventoso. Ho solo un vago ricordo di ciò che è accaduto dopo che ho perso i sensi. In un breve sprazzo di lucidità, ho sentito qualcuno che mi afferrava, trascinandomi via senza alcun riguardo.

«Sei sveglia».

La voce si leva dal buio facendomi trasalire. Mi volto troppo in fretta e il dolore torna ad azzannarmi come un cane rabbioso.

«Fa' piano. Hai preso una bella botta».

«Damian?» biascico, la lingua gonfia per la sete. «Dove sei?»

La sua voce torna a farsi sentire e in essa colgo un'eco di sofferenza. «Qui.»

Sondo le ombre con lo sguardo e finalmente lo scorgo, seduto nell'angolo più lontano, la schiena appoggiata alla parete e gli occhi chiusi. I polsi sono legati, non con semplici corde bensì con catene di ferro. Anche a distanza, distinguo l'ecchimosi sulla guancia, il labbro spaccato e il sangue che gli macchia un lato del collo.

«Sei ferito!» Mi sforzo di raggiungerlo, ma mi respinge. «No! Ferma!»

Resto impietrita e lui prosegue: «Ho bisogno di nutrirmi e nello stato in cui mi trovo... se ti avvicini troppo non so se riuscirei a trattenermi

Le sue parole, e il modo in cui le ha pronunciate, come se provasse vergogna per la propria debolezza, hanno il potere di inchiodarmi al terreno.

Mi servono un paio di tentativi per mettermi seduta e con lo sguardo percorro le pareti della caverna in cerca di una via di fuga. Il silenzio, dopo in po', diviene opprimente, perciò mi decido a spezzarlo. «Hai idea di dove siamo?»

Lui esita prima di rispondere. «Non ne sono sicuro, ma da quello che ho visto credo sia una necropoli.»

Non posso crederci! «Siamo finiti in una tomba?!»

«Temo di sì.»

Mi mordo le labbra e infine pongo la domanda che mi assilla da quando mi sono risvegliata qui sotto. «Come facciamo a uscire?»

La replica di Damian giunge dopo una lunga pausa e sembra costargli un'immensa fatica. «Non ne ho idea.»

*****

Non so bene quando è successo, ma mi sono assopita. Cerco di comprendere cosa mi abbia destata, quando un rumore di passi rompe il silenzio ovattato che regna qui sotto.

«Damian..?»

«Shhh, zitta.»

Un colpo sordo mi rimbomba nelle orecchie con la potenza di un tuono, e dopo pochi istanti la luce di una torcia illumina le scabre pareti della prigione.

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