102. Alexis ☼ Fratelli

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L'aveva lasciata andare, eccitato all'idea di darle la caccia, ma poco dopo che si era lanciato all'inseguimento apparvero gli Angeli.

Erano in quattro, due maschi e due femmine, una delle quali portava a tracolla un arco d'argento.

Riconobbe quell'arma all'istante e il suo corpo reagì, di nuovo preda del dolore causato dalla freccia che gli aveva trafitto il torace, arrivando vicinissima al cuore. Ruggì dentro di sé. Pur essendo trascorso qualche centinaio di anni, rammentava quell'episodio come fosse accaduto il giorno prima, perfino i dettagli, come il vento gelido che spirava da nord o i colori vividi del monte Elbrus che occupava l'intero orizzonte. Se chiudeva gli occhi, sentiva ancora il sibilo della freccia che aveva fatto impennare il suo cavallo, la rabbia che era esplosa incontrollata e il modo in cui si era battuto, da solo contro quattro, massacrando tre avversari prima di avere la peggio.

Dopo secoli di buchi neri e amnesie, la sua mente era di nuovo sgombra e limpida, i ricordi come pezzi di un puzzle tornati finalmente al loro posto. Ricordava tutto, anche ciò che avrebbe preferito restasse sepolto per sempre sotto strati e strati di oblio.

Quei pensieri l'avevano distratto. Si riscosse quando gli Angeli erano proprio sopra di lui. Volavano in formazione, e la vista delle enormi ali spiegate, le stesse che un tempo erano attaccate alla sua schiena, gli procurò un fremito.

Ora come allora, in quattro contro uno sarebbe stata una lotta impari, perciò si nascose, trattenendo la sua energia con relativa facilità, come se avesse premuto un interruttore. E quando i loro piedi toccarono il suolo, nel giro di pochi minuti, silenzioso come un gatto si portò alle loro spalle.

«Certo che sono sicuro. Era proprio qui» stava dicendo Michele.

«Non ho problemi a crederti, amico, il fetore di demone è insopportabile.» ribatté l'Angelo biondo. House... L'aveva sempre detestato quel dottorino.

La femmina con i capelli rossi che si faceva chiamare Tiziana e si spacciava per un'insegnante indicò una direzione. «Laggiù ci sono dei resti.»

«Non è lui.» A parlare era stata l'altra femmina. Teneva l'arco stretto tra le mani, la freccia già pronta e incoccata. «Ha ucciso l'altro demone ed è stato colpito a sua volta. La traccia di sangue però è debole, le ferite saranno già rimarginate. Con ogni probabilità si è accorto di noi e adesso ci sta osservando, nascosto da qualche parte». Un'analisi accurata, da vera cacciatrice. Non aveva dubbi che lo sarebbe diventata prima o poi, Thyana era sempre stata perfetta per quel ruolo. Sapeva essere fredda e spietata... come lui.

«Alexis. Vieni fuori». Michele aveva usato il solito tono autoritario. Il Demone sapeva che non lo faceva apposta, l'attitudine al comando era connaturata in lui e c'era stato un tempo in cui l'aveva ammirato profondamente per questo. Allora avrebbe fatto qualsiasi cosa per ottenere l'attenzione dell'Arcangelo del Fuoco.

Come se avesse sentito i suoi pensieri, Michele si erse in tutta la sua notevole statura. Le ali, rosse come le fiamme sprigionate dalla sua spada, fremettero mentre si voltava nella sua direzione.

Visto che era stato individuato, il Demone uscì allo scoperto. Tre Angeli si irrigidirono, il quarto, quello che l'aveva invitato a farsi avanti, non si mosse.

«Perché mi chiami così? Lo sai che non è il mio nome.»

«Non lo è neppure Balthazor» ribatté l'altro, impassibile. La vista del suo corpo nudo segnato dalle cicatrici e dei simboli magici che lo ricoprivano non ebbe alcun impatto su di lui, e nemmeno le lunghe corna ritorte che gli adornavano i lati del capo. Aveva ragione, ovviamente. Balthazor era il nome che aveva assunto dopo essere finito all'Inferno: quello vero, ricevuto alla nascita, era stato chiuso in un cassetto e dimenticato insieme all'esistenza che aveva vissuto prima della Caduta.

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