13. Lavinia ♀ La compagna di stanza

1.8K 161 16
                                    

«Non la sopporto più!» Mi lascio sfuggire un singhiozzo. «Mi sembra di impazzire! Dividiamo la stanza da soli tre giorni ed è già accaduto di tutto: i miei quaderni con gli appunti sono spariti, i romanzi pure, sistemo le mie cose in un posto e improvvisamente riappaiono in un altro. Ieri qualcuno ha sostituito il mio shampoo con del detersivo per i piatti! Per non parlare dei capi che ho portato in lavanderia: li ho lasciati sul letto perché ero di fretta e al mio ritorno erano tutti sporchi di fango. Ho dovuto buttarli!»

Sono disperata, il mio sogno universitario si è trasformato in un incubo. Non ho dubbi su chi sia il colpevole: Andriana Minervini sta facendo di tutto per rendermi la vita impossibile.

Melanie mi guarda comprensiva e allunga un braccio sul tavolo per stringermi la mano. «Tesoro, è terribile! Hai provato ad affrontarla, a chiedere spiegazioni?»

Annuisco. «L'ho fatto, ma lei nega tutto. Assume un'aria da santarellina e dice di non saperne nulla. Solo qualche giorno fa mi ha minacciata dicendo che avrebbe reso la mia vita un inferno, ma scommetto che se provassi a chiederglielo sarebbe capace di negare persino quello!»

«Che intendi fare adesso?»

Mi stringo nelle spalle. «La sola alternativa che mi resta è cercare un'altra stanza.»

Vedo Melanie corrugare le sopracciglia. «Sempre che ce ne siano ancora disponibili...»

Rabbrividisco. Non riesco nemmeno immaginare cosa farò se sarò costretta a rimanere un anno intero insieme a quell'arpia.

Sprofondo ancora di più nella sedia e allontano da me il toast che non ho praticamente toccato. Nella pausa pranzo la mensa è gremita di studenti, ma io e Mel abbiamo scelto un tavolino appartato in veranda. Scorgo Chris non molto lontano, seduto insieme a un un altro paio di ragazzi. Come se avesse percepito il mio sguardo, si volta verso di me, sorride e mi fa l'occhiolino.

«Mi pare che non vada poi tutto così male.» Melanie mi rivolge un sorriso complice. «Ti sei lasciata corrompere dal fascino del futuro acquisto del club di tennis?»

«Come lo sai? Cioè, come sai che gioca a tennis?»

«Tony mi ha detto che ha provato a convincerlo a entrare in squadra - con il fisico che si ritrova sarebbe stato un ottimo difensore! - ma lui ha declinato, dicendo che preferisce gli sport individuali.»

Solo allora mi accorgo che i ragazzi che sono con Chris hanno zaini da cui spuntano i manici delle racchette.

«In effetti mi ha chiesto di uscire.» confesso. Lei rimane a bocca aperta e mi da una pacca sul braccio. «Che aspettavi a dirmelo?!»

«Beh, ecco... non è proprio un appuntamento...»

«Non essere sciocca, certo che lo è! Quando vi vedete?»

«Sabato, alle otto.»

«Perfetto, allora ci vediamo alle sette da me. Ci penso io a truccarti e a prestarti qualcosa da mettere.»

Assumo un'aria indispettita. «Perché? Cosa hanno che non va i miei vestiti?»

«Mhm...» tergiversa e infine sbuffa: «Sono così castigati! Gli farai passare la voglia se ti presenti troppo coperta, mi spiego?»

Stavolta tocca a me restare a bocca aperta. «Non è vero! Solo perché non metto tutto in mostra non significa che sia una suora!» esclamo, indignata.

Mel ride e continua a punzecchiarmi. «Scommetto che presto ammireremo il bel Christofer in un completino sexy da tennista e tu sarai in prima fila sugli spalti a fare il tifo per lui.»

Senza che possa evitarlo, sento le labbra distendersi in un sorriso. In questi giorni sto imparando a conoscere e apprezzare i miei nuovi amici. Mel e Christofer sono fantastici e spero di ampliare ancora la mia cerchia di conoscenze. Prima però devo sbarazzarmi di quel mostro di Adriana.

Finiamo di mangiare e visto che non ho corsi nel pomeriggio decido di studiare in biblioteca. Prima però devo andare a prendere i libri in stanza e spero con tutto il cuore di non trovaci la mia malvagia coinquilina. Infilo la chiave ed entro. Sono fortunata, lei non c'è. Con sollievo recupero ciò che mi serve e lo infilo nella borsa, sollevo lo sguardo per un attimo e... mi paralizzo.

Il dipinto che tengo appeso sopra il letto - quello che mio padre mi ha portato da Londra anni fa - è stato vandalizzato. Una sostanza rossa lo imbratta, nascondendo il volto del personaggio principale. Come in trance, mi avvicino e lo tolgo dal muro, restando a fissarlo come se ciò potesse bastare a farlo tornare com'era.

La porta si apre e Adriana entra ridacchiando. Non è sola, con lei c'è una ragazza mora che non ho mai visto. Entrambe smettono di parlare non appena si avvedono della mia presenza.

Adriana e io ci guardiamo negli occhi. I suoi sono nocciola, contornati da ciglia folte, appesantite da una dose abbondante di mascara.

«Perché lo hai fatto?» chiedo accennando al quadro deturpato.

Lei fa spallucce. «Non so a cosa ti riferisci.» Sta mentendo. Lo sguardo mi cade sulle sue mani dalla perfetta manicure. Lo smalto sulle sue unghie è della stessa tonalità vermiglia delle macchie sul dipinto. Sento il cuore aumentare i battiti mentre la vista si annebbia. Per un istante sono accecata dalla furia e medito di saltarle addosso e stenderla con un paio di mosse che ho imparato al corso di karate. Poi, però, decido che non vale la pena di farsi espellere dall'università per una come lei, perciò faccio un respiro profondo, mi metto il quadro sotto il braccio e lascio la stanza. Adriana e la sua amica si scansano per lasciarmi passare. Sono consapevole del fatto che in questo momento l'espressione sul mio volto è tutt'altro che rassicurante e devo mettere quanta più distanza possibile tra me e la mia nemesi.

Attraverso il cortile che separa il dormitorio dall'edificio principale ed entro all'università. Infilo un corridoio a caso, non ho la più pallida idea di dove sto andando. Ho lasciato lo zaino in camera, e solo ora mi rendo conto che dentro ci sono i miei documenti e il cellulare e che così facendo ho regalato a quella serpe di Adriana l'occasione perfetta per giocarmi un altro brutto tiro, ma non riesco a convincermi a tornare indietro. Rivedendola la mia determinazione a non farle male potrebbe vacillare.

Intanto sono arrivata in un'ala dell'edificio che non ho mai visitato prima. Giro un angolo e mi ritrovo davanti un'immensa porta a vetri con su scritto "Laboratorio". Poiché sono in un vicolo cieco, sono sul punto di andarmene quando quella stessa porta si apre e ne viene fuori una persona. È il professor Gerace.

Indossa un camice bianco sopra ai vestiti, simile a quello di certi dottori, e un ciuffo di capelli scuri gli spiove sulla fronte. Un'ombra di barba gli copre la mascella e mette ancor più in risalto il grigio adamantino delle iridi. Per un eterno istante ci guardiamo e io mi sento improvvisamente debole e malferma sulle gambe. La sua bellezza è simile al sole: abbaglia chiunque osi fissarlo. A fatica abbasso lo sguardo, combattendo l'attrazione che ogni volta mi spinge verso di lui. Faccio per voltarmi, ma gli basta una parola per impedirmi di muovermi.

«Aspetta.»

Luce alle tenebre Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora