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Rifiutò di trovare sollievo in un sonno utopico. I colori raggianti dell'alba erano proprio spettacoli, doveva riconoscerli. Niente a che vedere con quelle che aveva visto in silenzio oltre il terrazzo di casa sua, nella sua vecchia Busan – che gli mancava ogni giorno sempre di più. Si concesse di essere nostalgico, per quella singola volta, perché non se la sentiva di assopire vecchi dispiaceri con pensieri falsi e puerili. Non aveva chiuso occhio, quella notte. Magari era stata colpa del letto scomodo. Vecchio di chissà quanti anni. Magari era colpa dell'ambiente, il quale doveva ancora abituarcisi. Qualsiasi sia il vero motivo, Jungkook si sentiva terribilmente in imbarazzo. Come mai si era sentito prima d'ora. Certo, ai tempi del liceo, aveva scambiato alcuni baci di sfuggita tra i corridoi, attento a non farsi beccare dal rispettivo fidanzato di lei, o peggio, dal vicepreside, che – doveva riconoscerlo – gliene aveva fatte passare di tutti i colori. Perché ricordava quei momenti con un sorriso schiocco in volto? Smosse le coperte, come se volesse strapparle via da sotto al materasso logoro, portandole così al viso.

Già pallido e rinsecchito per un'altra notte in bianco. Coperto dalla testa ai piedi, toccò per l'ennesima volte le labbra; lo fece ripetutamente, come se in qualche modo, potesse rivivere di nuovo quel fatidico momento. Nessuno avrebbe potuto immaginare quanto l'avesse preteso, quanto l'avesse richiesto disperatamente. Era talmente preso da quel fresco ricordo, che non si accorse nemmeno che stesse sorridendo per tutto il tempo. Quel che era avvenuto prima non poteva più essere cancellato.

Le sette giunsero quasi con netto anticipo, ad informarlo era stato il canto stonato di un gallo adiacente nei pressi di una fattoria vicina. Non seppe cosa fare, i ripensamenti lo attanagliavano. E lo avrebbero fatto per le ore successive. Aveva rimuginato poi un'altra oretta, mentre dei raggi flebili facevano capolino nella stanza, rivelando la valigia ancora da disfare. Infine, con suo grande risentimento, non si era presentato per la colazione. Temeva gli occhi di Taehyung più di qualsiasi altra cosa. Deglutì, mandando giù a forza tutto il pentimento che presto l'avrebbe logorato, chiedendosi cosa stesse facendo, o a cosa stesse pensando. Tutto ciò che gli riguardasse, costituiva motivo di tormento. L'illusione durò poco, come una scintilla, come un fulmine in una notte turbolenta. Prima o poi, suo malgrado, avrebbero dovuto parlarne.

Avrebbero potuto cominciare da una sciocchezza, da una risata o magari da un silenzio flebile. Forse sarebbe bastato un sussurro, una parola detta senza pesantezza. In quel caso, sarebbe stato capace di sostenere il suo sguardo elettrizzante? Questo fu il suo pensiero fisso, quando diede una veloce occhiata all'orologio appeso alla parete. Erano appena le undici e un quarto, e il cellulare vibrò appena, avvisandolo di una chiamata in corso. Stavolta gli bastò dare un'occhiata veloce, accertandosi di chi si trattasse. Stretto tra le dita della mano destra, e pochi secondi dopo la chiamata partì.

«Nam, cosa c'è?»

«Ci sono novità sul nostro caso.»

Abbandonò senza alcuna grazia quel letto, dirigendosi spedito nel lungo e stretto corridoio.«Ti ascolto.»disse questo, accertandosi che Taehyung non si trovasse nei paraggi. Non perché non volesse divulgare questioni di lavoro, ma perché non era proprio il momento adatto per vederlo.

HOMICIDA ― taekookWhere stories live. Discover now