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Non ci fu altro suono, se non quello del suo respiro. Era vivo. Stava colando a picco, sempre più velocemente. Qualunque ostacolo sarebbe risultato vano: doveva trovare la chiave per uscirne. Il suo obbiettivo, era quello di affrontare i propri demoni. Per troppo tempo erano rimasti lì, a fissarlo e ad augurargli la resa definitiva. Ma Jungkook non era fatto per darla vinta, e non poteva permettere che diventasse il suo nemico numero uno.

Il peggio stava per raggiungerlo. Era come trovarsi in equilibrio su un filo sottile, in uno stato indefinito.

Altri pezzi del puzzle mancavano.

La soluzione era ben lontana dall'essere afferrata. Gli serviva altro tempo.

Svegliati...

Il buio a fare da sfondo. Nient'altro all'orizzonte. Distinguere il resto era diventato troppo difficile. Troppo, per uno come lui. Una luce effimera comparve; forse l'avrebbe aiutato a trovare la retta via, o forse avrebbe contributo al suo smarrimento. C'era qualcosa che non gli tornava, sentiva quel tarlo scavare all'interno della sua testa, cospargendola di dubbi. Fu come aver compito un viaggio di non ritorno per un'altra dimensione. Credeva di aver superato quelle fasi, ormai non lo scalfiva più niente. Ma dopo quella visita, Jungkook non poteva permettersi di cadere di nuovo nel pozzo nero e illimitato. L'avrebbe soffocato vivo. Esattamente com'era successo al suo risveglio.

Vide passargli un pezzo di vita davanti agli occhi: c'era del sangue, i fari della macchina travolgerlo prima ancora che i polmoni potessero riprendere aria per avvertire il conducente di fermarsi, il riposo. L'incidente aveva sconvolto tutti, persino chi provasse del risentimento per quella povera famigliola, devastata da un evento così agghiacciante.

Probabilmente nessuno avrebbe mai dimenticato l'accaduto. Tutti quegli occhi puntati addosso l'avevano fatto sentire come un topo in trappola, pronto all'ennesimo esperimento. E poi c'era stata sua madre, la quale aveva vissuto in prima persona il peso della sciagura.

I mille rimproveri contro se stessa per non essere stata una madre più severa.

Se solo fosse stata più attenta, se solo l'avrebbe rinchiuso nella sua cameretta... Forse l'incidente non sarebbe mai avvenuto. Il marito non era presente, ma non per questo poteva darsi tutte le colpe. Troppo giovane per pensare di poter perdere un figlio. Il dolore per non aver fatto di più, l'aveva logorata dentro. Poi c'erano stati i miglioramenti, e la gioia aveva preso il posto dei rimorsi, quando aveva ripreso conoscenza. Disgraziatamente, la sua memoria aveva subito il danno peggiore.

Al suo risveglio non ricordava nulla.

Prima di farsi prendere dall'agitazione, i medici avevano avvertito i suoi genitori. E uno specialista del reparto l'aveva aiutato a riadattarsi al mondo che credeva di aver lasciato per sempre. Grazie alle cure necessarie e alla forza di volontà dimostrata, Jungkook era stato rilasciato in fretta, pronto a ritornare alla vita di prima, ma senza alcuna speranza di recuperare qualche ricordo precedente all'incidente. Lui stesso ci aveva provato e riprovato, fino a lasciar perdere.

Secondo il parere dei medici, il solo fatto che potesse tornare a respirare regolarmente senza l'aiuto di una macchina poteva essere considerato un miracolo. Doveva sentirsi davvero fortunato.

«Jungkook, respira.»

Eppure, fortunato non lo era. Perché ciò che si era lasciato alle spalle quella notte sembrasse volerlo tormentare.

L'ossigeno tornò a circolare nelle vene, ristabilendo la ponderazione perduta. Si era ritrovato a combattere contro l'ombra di se stesso, senza conoscere lo schema. Per poco non ci rimetteva il cuore. Dopo aver portato in avanti il busto, scosso da tremori incontrollati, avvertì le pulsazioni alle orecchie diventare frenetiche.

Cercò di regolarizzare il battito, mentre gocce di sudore freddo scendevano giù per le sue tempie. Era stato orribile.

«Hoseok.»si girò di scatto nella sua direzione, cercando un qualsiasi tipo di rassicurazioni.

Jungkook ignorava quanto tormento stesse provando lo specialista davanti a sé. Non si trattava di mentire, solo che con gli anni aveva perfezionato la tecnica. Vederlo riverso in quelle condizioni, Jung aveva avuto una strana sensazione al riguardo. Come se, in qualche modo, se l'aspettasse.

«Sono qui.»

«Per quanto tempo sono rimasto incosciente?»domandò noncurante delle sue condizioni.

Jung si era trovato quasi sul punto di chiamare un'ambulanza, dato il pallido aspetto del detective aveva assunto.«Dieci minuti esatti.»lo guardò esterrefatto, mentre quest'ultimo piegò le ginocchia, riacquistando la facoltà di alzarsi e camminare.

Sospirò, come se non fosse successo niente.«Mi aspettavo di peggio.»roteò il collo in senso orario e antiorario, riscaldando i muscoli.

«Hai voglia di scherzare?»lo psicologo non riuscì a tenerselo per sé.

«Perché dici questo?»

«Perché?»sbottò l'uomo, strabuzzando gli occhi.«Hai rischiato un infarto.»

«Ora sto bene.»

«Grazie a Dio.»

«Non farne un dramma.»lo rimbeccò a quel punto il più giovane.

Hoseok premette due dita sulla fronte.«Evidentemente non ti rendi conto della gravità della situazione.»lo riprese, ora con tono più amaro.

«Me ne rendo conto, invece.»

«Cederai prima o poi.»

«Stai esagerando»lo accusò ingiustamente Jungkook.«come tutti gli altri.»

Hoseok non poteva accettare tutta quella testardaggine, ma la discussione venne interrotta da un lieve bussare.

A giudicare dal tocco poco delicato, non poteva che trattarsi di Namjoon.«Scusate l'interruzione»fece quest'ultimo, entrando senza consenso alcuno.«abbiamo ricevuto quella che sembra una soffiata.»Jungkook fu il primo a interrompere il contatto visivo con il dottore, e si concentrò ora su ciò che il suo partner gli stava comunicando.

Benché fosse ancora scosso, fece di tutto per non darlo a vedere, e soprattutto per non concedere la vittoria a Hoseok. Il suo essere testardo gli sarebbe costato caro. Questo lo poteva immaginare perfettamente, ma ormai le cose non poteva cambiarle. Nemmeno volendo.

«Chi è il mittente?»chiese a Namjoon, dandosi una sistemata ai capelli arruffati, e pregò che Hoseok non proferisse parola sull'accaduto.

«Indovina.»

Doveva aspettarselo.

«Dannazione.»continuò a crogiolarsi sul suo apparire vulnerabile, agli occhi di quel pazzo e continuò a pensarlo anche quando aprì la lettera, rivelando il contenuto.

«Corro senza gambe,
Ruggisco senza bocca,
Ho ogni faccia e nessuna testa.
Non son mai fermo e non son mai stanco,
Son condannato ad andar sempre giù,
Io tolgo e porto la vita
Io sono colui che ha ucciso un fiore.»

«E che cazzo vuol dire?»così se ne uscì Namjoon, con tutta la sua grazia.

«Ho la netta impressione che voglia giocare con noi.»

Jung si schiarì la gola, permettendosi d'intervenire.

«Oppure, sta cercando di dirci qualcosa.»

Ma le cose non potevano andare in questo modo; Jungkook conosceva meglio di chiunque altro la prassi.

La polizia non avrebbe mai accettato di abbassarsi a tanto.

HOMICIDA ― taekookWhere stories live. Discover now