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Congiunse le mani sopra al tavolo, la sedia prese a scricchiolare a causa del movimento. L'appuntamento era stato fissato per quella sera, poco prima delle undici, in modo tale che qualsiasi cosa fosse accaduta successivamente, si fossero trovati in guardia. La debole luce evidenziò il piercing al sopracciglio, insieme al corrucciare della fronte che seguì a causa del ritardo. Non aveva mai dato troppo peso a simili stronzate, ma la faccenda era più urgente del previsto. Il tempo era sempre stato a suo favore, ma questa volta, stava mettendo a dura prova la sua perseveranza. Rivedere la donna che si era permessa di sfidarlo - a distanza di quasi dieci anni - non gli provocò alcun sollievo. Solo un risentimento velenoso che niente avrebbe mai potuto estirpare. I suoi uomini controllarono di nuovo il perimetro, accertandosi che non si trattasse di una trappola. Non era nei piani contattarla, ma per quanto avrebbe negato, lui sapeva che aveva più informazioni di quanto gli altri disponessero.

Nel suo territorio ogni tipo di violenza era legittimato; non esistevano leggi che regolassero la parità di predominanza. Da quando i Kalasar avevano ufficializzato il loro controllo sul resto dell'area, nessun abitante della Death zone aveva osato andargli contro. E per quanto si rifiutasse di accettarlo, le circostanze non gli permettevano di farsi troppi nemici. Ma con un patto strategico, risalente alla morte di suo padre, per sua mano, aveva stretto un accordo con la donna che stava aspettando. Niente guerre, niente spargimenti di sangue. E ora, il momento della rivendicazione era giunto. Era rimasto seduto in panchina troppo a lungo. L'occasione di pareggiare i conti, si era finalmente palesata. La lampadina affissa al filo sopra la sua testa, tremò a causa dell'eco prodotto dallo sbattere di una porta di metallo. Probabilmente proveniente dal piano superiore. L'incontro si sarebbe tenuto in un prefabbricato vecchio e abbandonato, senza alcuna eccezione. Ovviamente l'avviso era escluso a terzi.

Così facendo, non avrebbero avuto nessuna interruzione. Gli uomini che erano insieme a lui, rispettivamente alla sua destra e alla sua sinistra, controllarono che le proprie armi fossero cariche, in caso di un attacco a sorpresa. Cosa che non avvenne, perché Hwasa manteneva sempre la parola data. Aveva commesso peccati deplorevoli in passato: cambiato nome più di una decina di volte, scassinato cassaforti chissà quanti facoltosi. Nessun rimpianto macchiava la sua coscienza.

Nata in Venezuela da una coppia di drogati. E come se la crisi non bastasse a mietere vittime, venne costretta alla fame e venduta al mercato nero ad un prezzo stracciato. Il suo gelido sguardo, insieme al suo corpo esile e straziato da mani impure, aveva smosso qualcosa nell'anima di quel magnate. Aveva il doppio dei suoi anni, ma a differenza degli altri, le sue mani vecchie e rugose non profanarono mai il suo corpo. Forse, venne provato dalla compassione, o dalla sua stessa ferocia. Fin da bambina le era stata privata la facoltà di scegliere, ma da quando aveva conosciuto quell'uomo, le cose erano totalmente cambiate. In meglio. Se oggi poteva vantare di possedere un'eredità considerevole, lo doveva soltanto al suo ultimo matrimonio. Era bastata una cerimonia non troppo formale, un paio di fiori. Hwasa non poteva immaginare che tipo di contratto avrebbe firmato. Ma a quel tempo, niente poteva scalfirla.

HOMICIDA ― taekookWhere stories live. Discover now