Capitolo 12

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Non potevo credere a quelle parole. In quel momento ringrazio di indossare un casco con una visiera oscurata, perché sarebbe stato ancora più imbarazzante se mi avesse visto in versione "peperone".

I miei pensieri vengono interrotti dal rombo del motore della moto, da una partenza a dir poco inaspettata e da me che rischio di cadere facendo nuovamente una figura di merda.

- Io ti avevo detto di tenerti - dice fermandosi

- Non sono caduta -

- Però c'eri molto vicina -

Si volta, alza la visiera e mi guarda; rimaniamo così per qualche secondo, poi il primo a parlare è lui.

- Sai anche te hai un ego smisurato! -

- Parla quello -

- Scusa mi correggo: sei orgogliosa e testarda fino al midollo -

- Ne sono pienamente consapevole -

Nuovamente silenzio, interrotto sempre dalla stessa voce rovinata dal troppo fumo (descrizione che in verità potrebbe calzare a pennello sia a me che a lui).

- Adesso puoi mettere, per favore, da parte il tuo orgoglio e attaccarti a me, spererei di portarti a destinazione intera -

Non dico niente, mi attacco leggermente alla sua giacca di pelle nera, sperando che non mi stufi ulteriormente.

- Non ti facevo così timida! - detto ciò prende le mie braccia e fa in modo che circondino il suo petto; questo gesto mi costringe ad avvicinarmi di più a lui e ad appoggiare la mia testa sulla sua enorme schiena; devo dire che è piuttosto comodo.

Ripartiamo quasi subito, per un viaggio all'insegna dell'imbarazzo!

Passano poco più di dieci minuti; dieci minuti passati a stretto e imbarazzante contatto fisico, dieci minuti passati a sentire il suo profumo: aggressivo e forte, ma allo stesso tempo buonissimo, un po' come lui... 

Adesso che ci penso siamo su questa moto da troppo tempo: dovevamo semplicemente attraversare circa sei o sette isolati, ma di solito, andando lenta, ci metto un paio di minuti, ma alla sua velocità, saremmo già dovuti arrivare da un pezzo.

- Thomas... -

- Ah allora sei viva, pensavo ti fossi addormentata! -

- Sempre molto simpatico... -

- Cosa mi devi chiedere? -

- Dove stiamo andando? -

- Ce ne hai messo di tempo per riuscire a capire che effettivamente non stavamo andando al centro commerciale, o meglio, non in quello vicino a casa tua -

- E allora dove stiamo andando? -

- In una città vicina... -

- Hai intenzione di tenermi sulle spine ancora per un po'? -

- Mm... forse... -

Non rispondo, ma inizio a pensare: in California ci sono molte belle città, ma una vicino Brisbane... ce ne sono, ma non così tanto vicine. La mia testa inizia a frullare e a pensare a dove diavolo mi stesse portando Thomas Anderson; devo ammettere che per un istante mi è passato in mente che mi avrebbe portato in un luogo nascosto dove avrebbe potuto uccidermi.

- Se ti può rassicurare, non ti ucciderò - questo è ciò che sentii appena quel pensiero mi balenò in testa; allora la domanda che mi viene spontanea è: "o riesce a leggere la mente, o è solo una strana coincidenza" e spero vivamente la seconda.

Immersa nei miei pensieri, riesco a malapena a notare un cartello stradale con il nome di una città che tutti conoscono: San Francisco.

- Thomas dimmi che non è uno scherzo! Stiamo davvero andando a San Francisco? -

- Si, bambina... - non so molto peso a come mi ha chiamata, in questo momento sto realizzando cosa sta succedendo.

Passano altri cinque minuti prima di arrivare davanti a un enorme e accecante centro commerciale.

- Dove sono Jennifer e James? -
- Sono partiti un po' prima di noi, dovrebbero essere già qui...aspetta chiamo James -
Detto ciò prende il telefono dalla sua giacca di pelle e chiama il suo migliore amico; squilla tre o quattro volte prima che io riesca a sentire una voce proveniente dagli altoparlanti.

- Oi dove siete? -
- Ok, adesso vi raggiungiamo -

Non faccio neanche in tempo a capire la conversazione che hanno già chiuso la chiamata.

- Dove sono? -
- Sono in un bar dentro, la tua amica aveva troppo freddo per aspettarci così sono entrati -
Non so molto peso alle sue parole, per la prima volta dopo ore sto veramente pensando a ciò che è successo ieri: la polizia, mia madre e tutto il resto e, senza rendermene conto, una lacrima riga la mia guancia gelida.

- Williams mi stai ascoltando? -
Non lo guardo, non so perché ma non ho la forza di fare niente...

- Elizabeth, stai bene? - non reagisco a nessuna parola, tengono sguardo basso e la testa altrove.

- Elizabeth cazzo così mi fai preoccupare! - la sua voce inizia a diventare più seria, ma io non reagisco; nessuno parla, la sua mano si avvicina al mio mento e, usando due dita, lo solleva; in quel momento i nostri sguardi s'incrociano e i suoi occhi diventano tristi e cupi.

- Ehi...che ti succede? - la voce che arriva alle mie orecchie non è la stessa di qualche secondo fa, è più morbida e dolce.
Non sentendo una mia risposta mi prende per le spalle e fa una cosa del tutto inaspettata: mi fa avvicinare a lui e mi abbraccia, lì non riesco a resistere e le mie lacrime iniziano ad uscire allo scoperto. Fino a qualche giorno fa non l'avrei mai fatto in pubblico, tanto meno davanti a Thomas Anderson, ma in quell'abbraccio mi sentivo a casa, cosa che ormai non avevo più, certo Jennifer è sempre disponibile ad aiutarmi e lei è come la sorella che non ho mai avuto, ma dopo la morte di mio fratello non ho più avuto una persona che fosse in grado di proteggermi come faceva lui. Eppure eccoci qua, Thomas Anderson e Elizabeth Williams che si abbracciano; ma non è un semplice abbraccio, per me sembra quasi "casa".

Hellooooooo!
Ecco il tredicesimo capitolo, spero vi sia piaciuto. ;3

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