Capitolo 8

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- Ok Elizabeth, appena ne saremmo in grado faremo tutto ciò che... -

L'agente dai capelli rossi, che a quanto pare si chiama Sarah, stava parlando ma un rumore proveniente dall'ingresso attira la nostra attenzione

- Signorina Williams la prego di rimanere qui, zitta e immobile - questa volta a parlare è l'agente Smith, il suo tono mi dava sui nervi ma allo stesso tempo mi rassicurava, perciò ero quasi tentata di fare come mi aveva detto, ma appena uscirono dalla cucina, mi avviai verso l'ingresso silenziosamente; non riuscivo a vedere chi fosse entrato perché il mio campo visivo era interrotto dall'agente Smith, ma sapevo già di chi si trattava.

- Signora Williams, la dichiaro in arresto per abuso e possesso di droga e per violenza domestica, fisica e psicologica, contro sua figlia -

- Che... che cosa... io non ho una figlia... -

- E invece si che ce l'hai... - questa volta a parlare sono io, senza neanche rendermene conto ero uscita dal mio "nascondiglio" e mi ritrovavo a qualche metro di distanza da quella donna che ormai era diventata irriconoscibile, solo ora mi rendo conto di quanto sia messa male: è diventata molto magra, le occhiaie sono come dei buchi neri sotto i suoi occhi, il viso scavato e il corpo esile; non sembrava più neanche una persona umana... sembrava più un alieno.

- Tu, brutta piccola bastarda, non ti è bastato far incarcerare il mio Kevin! Fin dall'inizio volevi liberarti di me e hai pensato che finché ci sarebbe lui stato lui a proteggermi non ce l'avresti fatta, ma ora che lui non c'è più hai via libera per fare quel che ti pare! -

Non rispondo, quasi non sento neanche le parole che escono dalla sua bocca, in questo momento sono impegnata a vedere la scena pietosa che si sta creando; nella donna davanti a me non riconosco più una madre che dovrebbe amarti, sostenerti e aiutarti: vedo una donna che si è rovinata, una donna che non vive più.

La osservo mentre la fanno sedere dentro la volante, non mi sono neanche accorta di essere uscita sul portico, l'unica cosa che mi riporta alla realtà e una mano che delicatamente si appoggia sulla mia spalla.

- Elizabeth so che è stato molto difficile per te, ma credo tu abbia fatto la cosa giusta, sia per te che per tua madre -

- Grazie agente... -

- Ti prego non chiamarmi agente, mi fa sentire più vecchia di quanto già lo sia; chiamami pure Sarah -

- Grazie Sarah... -

- Elizabeth se hai bisogno di qualsiasi cosa chiamami, questo è il mio numero privato e se succede qualcosa,  non esitare a farmi sapere -

- Non credo sia necessario, in più non vorrei causarti problemi, avrai già altro a cui pensare -

- Sta tranquilla non potresti mai causarmi problemi e non saresti mai un peso -

- Grazie mille Sarah, se avrò bisogno te lo farò sapere -

Dopo ciò, la polizia se ne andò portando mia madre non so dove, ma spero il più lontano possibile da me.

Solo ora mi rendo conto che attorno alla mia casa c'erano molte persone che osservavano incuriositi o disgustati la scena, alcuni sembravano quasi tristi, altri semplicemente incuriositi o addirittura eccitati da questa scena, ma due persone sovrastarono lo sguardo, le espressioni e le frasi sussurrate.

Questi sguardi non giudicavano, osservavano soltanto, non cercavano di evitare le teste delle persone davanti a loro, erano immobili e fissi su di me.

Imbarazzata e umiliata per tutto questo rientro in casa immediatamente, chiudo la porta dietro di me e mi siedo per terra e inizio a rimuginare su quello che è appena successo: la polizia davanti a casa, la mia confessione, l'arrivo di mia madre a casa, l'arresto di mia madre e quei due sguardi, sento i loro occhi ancora che mi fissano, soprattutto i suoi azzurri come il ghiaccio e freddi, quasi come i miei.

Poi inizio a pensare: se loro hanno visto la scena, la notizia si spargerà nel giro di neanche un'ora e quindi tutti inizieranno a fare domande su domande e io, di conseguenza, diventerò soggetto di pettegolezzi e robe varie e di conseguenza sarò al centro dell'attenzione, che è l'opposto di quello che voglio che succeda.

*Toc Toc*

 I miei pensieri vengono interrotti da qualcuno che bussa alla porta, mi spavento e sono tentata di non aprire, ma dopo quello che ho passato oggi non riesco più a ragionare, quindi apro la porta senza neanche chiedere chi è.

Ho lo sguardo basso, ma quel profumo lo riconoscerei dappertutto; alzo lentamente il viso e li vedo: Thomas Anderson e James Parker.

- Che cazzo ci fate qui e come avete fatto a scoprire dove abito? - sono fredda e distaccata, voglio allontanarli il più possibile e permettergli di fare meno domande possibili.

- Conoscevamo tuo fratello, perciò sappiamo dove abiti - a rispondere alla mia domanda ci ha pensato James; ho sempre pensato che tra i due fosse quello più "umano" tra i due

- Questo non vi da il permesso di entrare in casa mia senza il mio permesso! -

- Veramente sei stata tu a farci entrare - questa volta a parlare è Thomas, sempre con il suo tono arrogante

- Sentite oggi non è giornata, se avete bisogno di me, oggi non sono a disposizione -

- Come se non ci avessi visti fuori da casa tua -

Non rispondo, sono concentrata ad guardare i due ragazzi che ho davanti.

- Thomas voleva dire che sappiamo già cos'è successo... e anche perché... -

- Come fate a saperlo? - 

- Beh diciamo che non è una cosa da tutti i giorni vedere una madre di una ragazza che conosciamo che viene arrestata -

- Non quello idiota! Intendo, come fate a sapere perché è stata arrestata? -

- Non possiamo dirtelo... - Thomas mi guarda serio, quasi dispiaciuto, ma non mi interessa, io voglio sapere.

- Perché cazzo? Lei è mia madre e voi non avete il diritto di tenermi nascoste informazioni che potrebbero aiutarmi a stare meglio - sono incazzata come non mai, sto tenendo dentro troppe emozioni in una sola volta e sono certa che tra qualche secondo scoppierò, non so come ma lo farò.

- Fidati che le cose che sappiamo noi non ti farebbero stare meglio -

- Thomas! - il ragazzo viene nuovamente ripreso dall'amico e questa cosa è diciamo l'unica cosa divertente che è successa oggi

- Sembrate madre e figlio... - dico accennando un piccolo sorriso

- Contenta che ti faccia ridere! - alzo lo sguardo e vedo James sorridente e felice, mentre Thomas fa il finto offeso e questa cosa mi fa ridere ancora di più.

- Ok ora che ti abbiamo fatta ridere... vorremmo chiederti cos'è successo a tua madre? -

Appena James pronuncia le parole "tua madre", mi si chiuse lo stomaco, mi venne la nausea, la rabbia e la tristezza iniziarono a ritornare, mi feci sempre più cupa e più triste, ma poi mi ripetei: "Non cedere, non davanti a loro!"

- Credevo sapeste tutto su quello che era successo, per un attimo ho creduto che anche voi aveste potuto avere un cuore, ma mi sbagliavo: siete solo degli stronzi che vogliono far soffrire gli altri e pensate di poter controllare il mondo solo perché siete fisicamente ben piazzati o perché avete qualche tatuaggio - sto urlando e non riesco a guardarli, appena finii di parlare calò un silenzio tombale tra di noi e io, non riuscendo più a trattenermi, salii al piano di sopra in camera mia, mi buttai sul letto e iniziai a piangere, e ad urlare; continuai finché non ebbi più forze e crollai in un sonno triste e tranquillo.

Ed ecco qui l'ottavo capitolo di "Routine". 

Spero che questa storia vi stia piacendo. 

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RoutineWhere stories live. Discover now