Capitolo 5

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PRESENTE

Era ora di colazione, raggiunsi le altre in mensa. La vidi da sola seduta in un tavolo, mi bloccai non sapevo cosa fare, avrei voluto abbracciarla forte dimenticando tutto, erano anni che non la vedevo e la sua mancanza si faceva ogni giorno sempre più grande. Le ragazze mi fissavano mentre ero in coda per il cibo, stavano sicuramente borbottando qualcosa, erano sorprese da chi fossi, di fatti in cella le ho sentite parlare , io facevo finta di dormire, erano stranite che Zulema avesse una figlia ma sopratutto speravano che non fossi come lei.

Andai verso il suo tavolo lo sguardo della riccia mi fece esitare, ma poi cambiai idea prendendo posto di fronte a lei.

"Ho bisogno che mi aiuti" le dissi guardandola fissa negli occhi.

"Non posso aiutarti"

"No non fraintendermi non mi serve una madre" lo stavo negando a me stessa "Ti chiedo solo di aiutarmi a non diventare il nuovo zimbello della prigione"

"Sai perché ti hanno portato qui?" mi domandò.

"No"

"Cosa credi che sia una riunificazione famigliare? Ti hanno messa qui per fottermi, lo capisci?" la fissavo osservando ogni suo dettaglio cercando di ricordarmi qualcosa di lei.

Si mise una mano in faccia, poi la spostò al lato cercando di non far vedere alle altre cosa mi stesse per dire.

"Io non voglio vederti, non voglio che mi segui e non voglio che tu mi sorrida" la sua voce tremava "Io non voglio sentire il tuo odore, capisci ciò che ti sto dicendo? E ora porta via il tuo culo da qui" si asciugò la lacrima "Alza quel fottuto culo da qui, vattene!" urlò sbattendo via il vassoio.

"Che cazzo sta succedendo qua?" si avvicinò una guardia cercando di calmare le acque.

"Zahir ferma" ci bloccammo entrambe "La piccola Zahir " lei si voltò e se ne andò "C'è l'ispettore che ti sta aspettando"

                                                                                ***

Raggiungemmo la sala degli interrogatori al terzo piano, stavo ancora pensando alla reazione che ha avuto Zulema prima, anche se mi ha detto di non volermi più vedere nei suoi occhi ho percepito della malinconia, credo che stesse mentendo.

"Zahir finalmente, gradisci qualcosa?"

"No grazie" eravamo uno di fronte all'altro, al centro della stanza. Castiglio è un uomo sulla sessantina, stempiato con alcuni peli ai lati della nuca sul grigio. E' un uomo robusto, vestito sempre casual (camicia da campagnolo, jeans e giubbotto di pelle) abbinato al suo bastone di legno che non abbandona mai.

"Ora a parte gli scherzi, devo farti alcune domande, non sei in questa scuola da molto giusto?" riferendosi al Colegio.

"No da quasi sei mesi, prima studiavo in un'altra scuola"

"Come mai sei andata via?"

"Mi hanno offerto una borsa di studio"

"Eravate in classe insieme tu e Guzmán?"

Quando pronunciò il suo nome le lacrime bagnarono il mio viso "Rispondendo ad una semplice domanda come questa, ci risparmieresti tempo e lavoro" bevve un sorso del suo caffè "Perché eri sporca di sangue?"

"Non ricordo niente, voglio un avvocato"

"Il tuo avvocato arriverà entro fine settimana"

"Non ho fatto niente lo giuro"

"Parliamoci chiaro Jada, era la festa di metà anno, tutti possono perdere il controllo, c'era molto alcol, magari è scoppiato un litigio che è degenerato"

"E perché lo dice a me? Io non sono così" gli domandai.

"Ti ho solo fatto delle domande, ma se non hai voglia di collaborare, possiamo aspettare il tuo avvocato" finì il suo caffè "Tutti quei lividi come te li sei fatti?"

"Sono caduta dalle scale"

"Perché ho la sensazione che tu mia stia mentendo? Va bene per ora può bastare" finita l'interrogazione non andai dritta in cella, facemmo una deviazione.

"Dove mi state portando?"

"Visita di controllo da Sandoval" arrivammo davanti alla porta "Sandoval c'è una visita per te"

"Falla entrare"

Lo studio non era grande, c'era una scrivania con al di sopra un computer portatile, un telefono, un'agenda e delle foto di famiglia incorniciate. Dalle finestre entrava tanta luce, al contrario delle celle, al sotto di esse c'era un lettino da visita bianco con della carta usa e getta appoggiata sopra.

"Ti amo, devo andare ho una paziente, baci, ciao" attaccò il telefono "Scusa, sono Carlo Sandoval, il tuo dottore" mi porse la mano.

"Jada Zahir" ricambiai il saluto.

"Quindi pensi di rimanere qua a lungo?"

"In realtà no"

"Bene, allora togliti la camicia e stenditi sul lettino che diamo una controllata" aprì il computer e iniziò a scrivere "Jada Zahir, cella 225 modulo 2, custodia cautelare per omicidio, beh quanto vedo il pubblico ministero non vuole proprio  che tu esca"

"Già"

"Bene ora ti ausculto un po' per controllare i polmoni, respira con la bocca, bene i tuoi polmoni stanno bene. Ti somministro un tranquillante, hai il battito accelerato"

"No grazie, sto bene così" dopo gli avvenimenti passati vorrei evitare, si avvicinò con aria sospetta.

"Hai gli occhi di tua madre"mentre parlava non mi accorsi che la sua mano era finita sulle mie ginocchia "Il cucciolo dello scorpione proprio qui davanti a me" lentamente la sua mano si spostò "Sappi che ora puoi contare su di me per qualsiasi cosa" arrivò fino all'interno coscia.

"La ringrazio" misi la mia mano sopra la sua per bloccarlo.

"Posso diventare il tuo Babbo Natale e tu una mia renna tesoro" l'ultima frase la sussurrò all'orecchio "Bene ora puoi andare" uscita dalla stanza ero ancora impressionata da cosa fosse appena successo.

CRIMEWhere stories live. Discover now