Capitolo 10: Con perdita e vittoria. (Parte 1)

946 53 31
                                    

Era come un'ombra. Sempre lì. Non importava dove andassi, ti seguiva sempre, la tua ombra. Era così. Non ti saresti accorto che era lì o non ti sarebbe importato, perché era solo un'ombra. Ma lui era diverso. Lui era sempre lì, che tu volessi a guardare o no; lui sapeva sempre; lui era sempre un passo avanti a te, anzi, lui era sempre mille passi avanti a te. Lo è sempre stato e sempre lo sarà.

Era un'ombra nella foresta, lo potevi vedere sugli alberi grazie alla forte luce della luna piena. Un minuto pensavi fosse lì, poi scompariva in un lampo. Sarebbe stato impossibile seguirlo, trovarlo; nessuno si prendeva il disturbo di farlo, in realtà nessuno osava. Avevano paura di lui, lui era la paura in persona. E l'unica cosa di cui si deve avere paura è la paura. Lui.

Corse tra i grandi alberi, tagliando ogni ramo che gli intralciava la strada. Non stava scappando da qualcuno; stava correndo da qualcuno, qualcuno che non vedeva l'ora di vedere, qualcuno che voleva così tanto vedere sanguinare e implorare pietà, ma non ne avrebbe mostrata. Raggiunse un'apertura tra gli alberi, un'enorme caverna buia era davanti a lui. Il suo famoso sorriso gli apparve sulle labbra mentre entrava.

Continuò ad avventurarsi all'interno, fino a che non la trovò, grazie alla luce che veniva dal fuoco che bruciava al centro. Le sue mani erano incatenate alla parete della grotta; lei era in ginocchio, la sua testa bassa. I suoi capelli biondi erano un disastro, una parte coperta di sangue; la sua maglietta era appiccicosa e bagnata, di nuovo di sangue. I suoi pantaloni erano mezzi strappati, rivelando dei lividi, persino le sue mani avevano dei tagli. Sangue. Sangue ovunque. Amava quella vista. Non capiva quelle persone che si sentivano male a guardarlo. Come si può avere un mancamento alla vista del sangue? Come si fa a non sentire un flusso di frenesia quando si vede il proprio nemico a terra sanguinante? Non aveva senso per lui.

"Mio signore?" Una giovane ragazza apparve dall'ombra. Aveva una frusta in mano; ovviamente l'aveva, lui le aveva chiesto di torturare la vittima.

"Hai fatto come ti è stato detto, Ottavia?" Non era una domanda, più un promemoria per lui.

"Certamente." Sorrise. "Le sue orla sono musica per le mie orecchie." Rise diabolicamente.

Lui la trovava bellissima: era alta, magra e forte. Gli piacevano le ragazze forti. Aveva dei bellissimi capelli lunghi, ricci e castani e decisi occhi marroni che ti rendevano debole solo a guardarli.

"La cosa importante è che non sia morta."

Si avvicinò alla ragazza e si inginocchiò davanti a lei. Le sollevò il viso, un dito sotto il suo mento. Era sveglia. Il suo viso era graffiato e delle lacrime le cadevano sulle guance.

"Perché?" Mormorò.

La sentì appena. Era conscio di Ottavia che lo guardava, ma sapeva che non poteva sentire niente.

"Perché?" Rise. "Perché, mia cara amica, amo vedere le persone soffrire. Mi dà gioia."

"Che cosa ti ho mai fatto?" Chiese un po' più forte.

"Cosa hai fatto? Cosa hai fatto? Ah! È tutto a causa tua, Annabeth, tutto. Tu sei quella che mi ha fatto dubitare il mio potere e la mia abilità; grazie a te, ho sempre esitato a usare i miei pieni poteri. Tu mi hai fatto dubitare di me stesso, mi hai detto che non tutto è fatto per essere controllato. Ora ne pagherai il prezzo."

"Non l'ho mai fatto!" Gli sputò in faccia. "Se lo avessi voluto fare, avresti potuto. Io ti ho solo detto che cosa era giusto! Stavo facendo la cosa giusta, non è colpa mia se sei troppo potente. Va bene? Ne ho abbastanza, lasciami in pace e basta!" Stava piangendo, pentendosi di quello che aveva detto, sapendo che ne avrebbe pagato le conseguenze.

Ricercato [Traduzione di Wanted (Percy Jackson Fanfiction)]Where stories live. Discover now