CAPITOLO 12

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"Meredith, giusto?" Scossi la testa quando una voce richiamò la mia attenzione. Mi voltai, per ritrovare Liam in piedi a pochi passi da me; gli sorrisi e annuii, facendogli segno con la mano di sedersi al mio fianco.
"Hazza ti ha lasciata sola?" Impiegai qualche secondo per capire che si riferiva ad Harry.. Mi sarei in seguito fatta spiegare il perché di quello strano soprannome, pensai.
"Oh no.. Cioè.. Sta parlando con suo..cugino" ero ancora sconvolta dalla parentela fra i due, ma cercai di non darlo a vedere, ero già sufficientemente in imbarazzo, come ero con tutte le persone appena conosciute.

Tranne Harry.

Lanciai un'occhiata verso i due cugini che stavano gesticolando sotto la luce di un lampione, ancora di fianco alla gip rossa, quando Liam mi guardò confuso. Pensai di aver detto qualcosa che non avrei dovuto... o forse stavo ricominciando a farmi troppe paranoie, abitudine che avevo perso nell'ultimo anno; ma ormai cominciavo a rendermi conto che la ragazza americana e insensibile stava svanendo man mano che si formavano le crepe nel muro costruito per "tenermi al sicuro" dal mondo.

"Ah c'è Tomlinson? Sapevo che era in città, ma non credevo avesse il coraggio di presentarsi qua.." La voce di Liam, nonostante le sue parole dure, era rassicurante e sciolse un po' i miei nervi tesi.
"Ma non abita in città?" Chiesi curiosa.
"Oh Nono! Lui è inglese.. Vive in una cittadina là, l'ho visto poche volte.. Fra i due cugini non corre buon sangue, anche se non so le ragioni precise. Un fatto di famiglia da quel che ricordo.." Spiegò Liam.
"Oh... Ma è il figlio della sorella di Anne?" Azzardai.
"Non credo.. Da quello che so è il figlio della sorella del padre di Harry.. Ma non so nulla di lui... Mi dispiace non so dirti altro" Liam sorrise amorevolmente.
"Non preoccuparti.. Va benissimo così" Risi. Stare in mezzo alle persone mi faceva davvero bene..finalmente un po' di serenità, se non fosse stato per le apparizioni di Niall nella mia mente.

"Pulce?" La sua voce ancora tagliente e impertinente, ma quel fondo di dolcezza era nuovamente presente, il che mi fece tirare un sospiro di sollievo.
"Ehi... Stavo parlando con Liam.." Mi giustificai, come se avessi qualcosa per cui giustificarmi. Ero un po' a disagio e non riuscivo a capire a cosa fosse dovuto tutto l'astio che c'era fra i due cugini. Harry cominciava a diventare un enigma sempre più impegnativo, un pozzo di misteri, una grotta di forzieri contenenti segreti, di cui non avevo la chiave, non ancora per lo meno.
Mise un broncio adorabile e insensato e si sedette di fianco a Liam.
"È tutto a posto con..-"
"Si." Mi interruppe secco, non dandomi la possibilità di proseguire oltre con delle domande.
"Oh beh.. Io vado.. Credo sia arrivata Sophia, la mia ragazza- precisò guardandomi- ciao ragazzi.. Ah e Mery, ci vediamo dopo.. Magari ti posso presentare Sophia, sono sicuro andreste d'accordo!" Disse con gentilezza e dolcezza Liam, prima di alzarsi, sorridermi nuovamente e andare verso la ragazza appena scesa da una costosa cabriolet nera.

Il silenzio calò fra me e il riccio, mentre migliaia di domande riguardo la sua famiglia, la sua infanzia, la sua persona, mi roteavano nella mente. Cosa stesse pensando lui in quel momento non saprei dirlo, gli occhi tornati ad essere illeggibili, l'espressione assente.
"Hai voglia.. Non so.. Di ballare? O di fare due passi sulla spiaggia? O.. Di bere qualcosa?" Chiese dopo un po', con lo sguardo fisso nel vuoto e privo di emozioni, apparentemente. Alzai il bicchiere ancora mezzo pieno davanti al suo naso, per declinare l'ultima offerta e presi un sorso abbondante della bevanda, non troppo alcolica.
"La passeggiata andrebbe bene.." Risposi con un tono altrettanto impersonale. Eravamo tornati ad una condizione di disagio e imbarazzo: quel ragazzo condizionava il mio umore con i suoi atteggiamenti contraddittori e mi rendeva scettica e acida un minuto, dolce e felice quello dopo. Era come girare una ruota, quelle della fortuna che si vedono in tv: io giravo la ruota che era Harry e a seconda del suo stato d'animo di quel momento, io mi adeguavo.
Non avrebbe dovuto condizionarmi così, ma era il mio primo amico in America, essere accomodante era il minimo, per educazione. O almeno così continuavo a ripetermi.

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