CAPITOLO 27

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"Avanti Dereck!! Diglielo, coraggio!!" La voce di mia madre si incrinò nonostante cercasse di mantenere la facciata della donna forte e insormontabile. In un qualunque altro momento avrei odiato il suo tono freddo e la sua acidità, ma in quel momento ero d'accordo con le sue parole, avevo bisogno di sapere cosa stava succedendo, così rivolsi uno sguardo di rimprovero e supplica a mio padre, sperando di convincerlo a parlare.
"Tesoro, io..- tacque per quelli che sembrarono anni- non posso dirglielo.. Non riesco.." Si rivolse a mia madre, nel tentativo disperato e supplichevole di far parlare lei al suo posto. 
"Ah no Dereck!! Mi dispiace ma non sarò io a salvarti dal compito spiacevole di dire a tua figlia la verità!! Dovevi pensarci prima di agire in modo così sconsiderato.. Da me non avrai nessun aiuto!!" I due si scambiarono sguardi di odio vicendevolmente, a conferma del fatto che non avrei mai più riavuto la mia famiglia unita. 
"Meredith.. Io.. Ho un'altra famiglia, qua in America." I suoi occhi si chiusero mentre le parole solcavano a fatica l'ostacolo delle sue labbra socchiuse, mentre i miei si spalancarono e al contempo riempirono di lacrime taglienti. 
"C-cosa.. Cosa vuol dire..?" La frase mi morì in bocca, quando un nodo mi si strinse alla gola. 
Il silenzio calò, e ci volle un tempo interminabilmente lungo prima che qualcuno, mio padre, si decidesse a fornire una spiegazione, mentre il mio cuore stava facendo sentire la sua presenza in modo eccessivamente veloce e doloroso
.

Continuai a esaminare il mio viso allo specchio, come se potesse cambiare, o fosse già cambiato, o come se lo specchio potesse rompersi, non potendo reggere il dolore emanato dal mio sguardo; uno sguardo che non era più vuoto e insensibile, ma asfissiato dalla sofferenza, isolato nel proprio tormento, senza appigli a cui aggrapparsi. Ero più che convinta che se Harold Edward Styles non fosse entrato nella mia vita, non avrei avuto alcuna difficoltà a continuare a comportarmi come un automa senza sentimenti: pensavo di avere esaurito tutte le emozioni durante l'anno passato e ora sarei stata pronta ad affrontare la vita con la testa vuota, nascondendo tutto ciò che in realtà provavo dietro il mio muro, e l'anima lacerata, fragile, frastagliata, ma in pace. Eppure nulla era andato come pensavo, la mia vita sembrava essere un continuo scherzo del destino, una continua prova in preparazione a qualcosa che ancora non conoscevo, che forse non sarebbe mai arrivato. 
Mi passai le mani ricolme di acqua gelida sul viso, ancora una volta, poi i miei occhi caddero sul bicchiere contenente spazzolini e dentifricio: li, di spazzolini ce ne erano solo due. Un colpo mi colpì dritto nel petto, insieme alla consapevolezza che portare via lo spazzolino significa necessariamente andarsene; certo, lo spazzolino è un oggetto banale, scontato, ma così utile e necessario che costitutiva una prova sufficiente al fatto che mio padre, in quella casa comprata solo per inseguire i suoi sogni, non ci sarebbe tornato più. E, malgrado tutto, malgrado il dolore e la sofferenza, la delusione e la paura, sapevo che sarebbe stata la cosa migliore per tutti, per noi e per gli 'altri', per mia madre, per me e per mio padre, perché 'tutti' avevamo diritto a vivere la nostra vita come più volevamo, come ci sembrava più giusto. Eppure mi sembrava di essere l'unica a cui questo diritto era stato strappato molto tempo prima.

"non vi ho sempre mentito.. So che può sembrare sia così, ma non lo è. È iniziato come un errore, un puro, irrimediabile errore, per poi diventare qualcosa di molto molto più grande di me, davanti alla quale si poteva solo abbassare il capo e arrendersi alla sua potenza.." Mio padre articolò un discorso di grande effetto, che mi avrebbe anche rassicurata e impietosita, se non avessi letto sul viso di mia madre, seduta su una sedia di fronte a me, la lampante consapevolezza che la capacità oratoria di suo marito era sconfinata, e che lui, con quei discorsi melodrammatici, ci sapeva proprio fare, per quanto lungi dalla realtà. 
"Non avrei dovuto mentirvi tanto a lungo, ma Carol era incinta e..- il mio cuore si strinse, si contorse e si conficco più a fondo all'interno del mio petto, facendomi quasi mancare l'aria- .. Non sapevo cosa fare.. Ho optato per quello che mi sembrava più.. Giusto.." Mia madre sbuffò sonoramente al sentire quelle parole, poi mi rivolse uno sguardo, per la prima volta da quando ero arrivata, di pura preoccupazione, nel tentativo di sorreggermi e supportarmi lei, nonostante fosse lei a essere maggiormente lacerata e devastata dalla disperazione. 
"Come l'hai conosciuta?" Osai chiedere con voce tremante, bisognosa di conoscere ogni dettaglio di quella sua vita parallela.
Mio padre sospirò, probabilmente sperava che nessuno si sarebbe azzardato a chiedere di più, invece eccomi li a rovinare i suoi piani di nuovo, così come avevo fatto nascendo.
".. È stato durante i viaggi che facevo tre anni prima della partenza... Quando venivo in America periodicamente per lavoro.. Non avrebbe dovuto diventare una cosa seria, ma la gravidanza ha cambiato tutto e ora non posso evitare di pensare anche a James.." James.. Il mio fratellastro si chiamava James, la gelosia mi fece considerarlo un nome orrendo, prima di dovermi ricredere, nel profondo del mio cuore: era anche il secondo nome di Niall. 
"Era per questo che non volevi che venissimo a vivere qua con te, giusto?" La voce di mia madre risuonò terribilmente affranta, quasi chiusa dentro una scatola, dalle pareti ovattate; non potei fare a meno di guardarla, cercando di digerire anche per lei il boccone amaro che entrambe sapevano sarebbe arrivato. 
Mio padre abbassò lo sguardo e si sforzò di scuotere la testa, ma con così poca convinzione che nessuno, neanche lui stesso, avrebbe potuto crederci. 
"No.. Non è che non vi volessi, solo che.. Avrei voluto tenere le due realtà separate.." 
"Già.. L'avresti fatto anche con successo venendo qua da solo e abbandonandoci in Irlanda.. Un ottimo lavoro Papá."
Sorrisi amaramente, mentre i miei pensieri si dirigevano verso tutte le volte in cui l'esistenza di una seconda vita di mio padre mi aveva sfiorato la mente; eppure in quel momento non mi sentivo brava per aver indovinato, nè furba per averlo capito prima di mia madre, mi sentivo solo svuotata, amareggiata, delusa, e nulla avrebbe potuto cancellare ciò che provavo.

Raccolsi i capelli in una coda disordinata, per la quinta volta: continuavo a raccogliere i capelli, per poi scioglierli e raccoglierli di nuovo, come se non fossi più in grado neanche di provvedere a quel semplice bisogno personale. Osservai la mia immagine ancora una volta, prima di girare lo sguardo, disgustata da me stessa, da tutto ciò che ero, dentro e fuori, avevo perso me stessa e ora non sapevo più come potermi ritrovare. Come dentro una stanza, contenente centinaia e centinaia di specchi, ove capire quale sia la nostra immagina vera diventa impossibile, capire dove veramente ci troviamo un'impresa irrealizzabile.*
Fui tentata di buttarmi sotto la doccia, così vestita, ancora con quegli abiti su cui qualche ora prima Harry aveva poggiato le sue mani per abbracciarmi e stringermi a sè, che avevo giudicato semplici indumenti con cui trascorrere una giornata serena e divertente. La sorte non ne voleva proprio sapere di lasciarmi tranquilla. 
Scartando l'idea della doccia, mi appoggiai alla porta bianca del bagno, ascoltando, in parte consciamente, in parte inconsciamente, ciò che avveniva fuori da quella stanza, diventata maledettamente sicura e confortevole nell'ultima.. Mezz'ora? Trascorsa li dentro; In realtà non avevo idea di quanto tempo fosse passato, poteva essere già sera, o poteva essere notte, o potevano essere passati solo pochi minuti da quando mi ero rinchiusa li dentro, nel tentativo disperato di sfuggire alle grida dei miei genitori.

 "basta charlotte, basta!!! Mi dispiace ok? Non mi sono comportato bene.."
"Come??? Non ti sei comportato bene?? Ma spero tu stia scherzando! Ci hai distrutte!" 
"Parla per te!!! Smettila, smettila di parlare e pensare per tua figlia!! Tu, TU l'hai distrutta, non io!!" 
Avrei potuto interrompere quello straziante scambio di accuse, dicendo che ero stata io a distruggere me stessa, lasciandomi sottomettere dalla situazione e pervadere dalla loro guerra, che non sarebbe dovuta essere la mia; avrei potuto anche interromperli dicendo che sì, erano stati entrambi egoisti, si erano dimenticati che da quando ero nata, più di 17 anni prima, loro erano responsabili di un'altra vita, oltre alla loro, e che non potevano ignorarlo; avrei potuto dire, infine, che nulla di ciò che avrebbero detto o fatto adesso, nessuna delle loro polemiche e lamentele avrebbe mai potuto ridarmi la mia integrità, la mia dignità, la mia essenza. Eppure, non dissi nulla, continuai a fissare il muro bianco della sala da pranzo, mentre le loro voci risuonavano lontane, come echi, e le loro mani, si muovevano veloci e irrompenti nell'aria, ormai rarefatta, per i respiri affannati dei due. 
Io mi limitai a stare immobile, in antitesi rispetto al loro estremizzato dinamismo, lasciando che, ancora una volta, tutto ciò che mi circondava, mi aggredisse, mi soffocasse, mi devastasse. 
"Non potrai mai riaverci.. Non importa quanto ci pregherai di tornare da te, Derek, il posto per te non ci sarà più!!"
"Non ci sperare, charlotte, non tornerò di certo.. Chi rimpiangerebbe una vita come questa?!?" 
Fu a quel culmine di cattiveria, a quell'apoteosi di sofferenza repressa e meschinità, che mi alzai, sempre con dolore soffocato e staticità esasperata, e mi rinchiusi nel bagno, ignorata, come sempre, dai due adulti, dai miei genitori, che non sembravano assolvere a pieno nè alla prima, nè alla seconda definizione.

Afferrai la maniglia, decisa a terminare quella reclusione forzata, ma autoimposta, e raccolsi tutta la poca forza rimastami per riuscire ad aprire la porta ed uscire. 
Non ebbi la forza di controllare se ci fosse qualcuno nei paraggi, semplicemente mi diressi a passi svelti verso la mia camera, dove mi chiusi, ricominciando una reclusione, che mi decisi a non terminare finché non avessi ritrovato me stessa. O almeno la forza minima e necessaria per ricominciare a vivere, o anche solo a respirare.

Finding HappinessWhere stories live. Discover now