06. L'autunno che ha cambiato tutto

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Rose - 15 anni

La luce del distributore automatico di fronte a me sembra accecante, sposto gli occhi da una merendina all'altra, ma questi cominciano a bruciare quasi istantaneamente, perciò li porto a fissarsi sulla tastiera numerica incastrata su un lato della macchinetta. Perchè sono venuta qui?

Davvero, non me lo ricordo.Cerco di pensare, ma la mia mente è annebbiata e all'improvviso comincio ad avere anche mal di testa. Guardo brevemente il distributore di bevande calde qui accanto e ho un'illuminazione: dovevo prendere un caffé alla nonna. O forse era per me? Be', poco importa visto che ho dimenticato il cappotto con dentro il portafoglio nella camera della mamma. Che idiota.

Porto le mani sul viso e mi strofino gli occhi, sperando che serva a darmi una svegliata: non è una gran sorpresa il fatto che non funzioni. È da almeno trentasei ore che non dormo, lo so perché è da almeno trentasei ore che siamo all'ospedale. La mamma è peggiorata ancora, Simon mi ha detto che forse sarei dovuta passare perchè l'avrebbe fatta sentire meglio, ovviamente non ha funzionato e, anche se normalmente lui e la nonna mi avrebbero costretta a tornare a casa, sono troppo presi dal resto per voler veramente affrontare una discussione con la sottoscritta. Non me ne vado, non ci penso neanche. Andrew è dal suo amico Tommy, la signora Colton era più che contenta di prendersi cura di lui mentre io ho pensato che fosse pazza: due bambini di due anni non sono una passeggiata. Non voglio tornare a Portal Road, da una parte perchè stare lì da sola mi mette i brividi, dall'altra perchè andarsene da qui è fuori discussione. Lo so cosa sta succedendo, lo sappiamo tutti anche se non dormiamo da trentasei ore.

«Rosie?» mi sento chiamare in mezzo al vociare del corridoio dell'ospedale.

Immediatamente abbasso le mani a scoprire il viso: trovarmi davanti Blake non è veramente una sorpresa. Sapevo perfettamente che prima o poi l'avrebbero chiamato, non mi aspettavo ci avrebbero messo tanto. «Vai a casa, Blake.» sospiro atona.

Lui mi fissa con i suoi occhi verdi per qualche secondo, in silenzio, un'espressione seria in viso. Infine incrocia le braccia al petto. « Ok, ma tu vieni con me.».

Sbuffo, abbasso le spalle, sento gli occhi lacrimare ancora e per un secondo ho il terrore di mettermi davvero a piangere. Però il groppo che sento in gola è resistente. «Non voglio andare via.» riesco a dire con un fil di voce.

Blake deglutisce e sospira, sposta gli occhi dal mio viso per concentrarli sul soffitto almeno per qualche secondo. Probabilmente non vuole farsi impietosire, più probabilmente ha promesso a mio fratello di portarmi a casa e sa che ora non ha altra scelta. «Simon dice che non dormi da almeno un giorno e mezzo, che non tocchi cibo e che a malapena hai bevuto un bicchiere d'acqua.»

«Non centra niente...»

«Sei sfinita, Rose.» mi interrompe tornando a guardarmi in faccia. Non ho mai visto Blake come una figura autoritaria, ma in questo momento mi fa quasi paura quanto sia determinato. «Quindi ora vieni con me, che tu lo voglia o no.» conclude lasciandomi basita. Ci guardiamo in faccia, entrambi ben saldi nella propria posizione. So che in una situazione normale, una situazione in cui non sono sveglia da trentasei ore, probabilmente gli urlerei di andare al diavolo per poi cercare Simon e prenderlo a calci. Ma non è una situazione normale e per quanto odi dargli ragione, la verità è che sono sfinita. Se chiudessi gli occhi probabilmente mi addormenterei in piedi. «Non voglio trascinarti di peso, Rose, ma ti assicuro che se non esci di qui di tua spontanea volontà non mi lasci altra scelta.» continua spaventandomi. So che lo farà, lo so dal momento in cui l'ho sentito chiamarmi poco fa.

«Devo salutare la mamma.» sussurro, prima di abbassare gli occhi e superarlo in fretta. Percorro il corridoio senza esitazione, conosco questa strada a memoria, so dov'è la sala delle infermiere, so dov'è il bagno, so perfino ogni quanto l'inserviente passa a pulire il pavimento. Ad un certo punto però rallento fino a fermarmi: sono davanti alla stanza. Simon sta parlando a bassa voce con la mamma,  che è sdraiata sull'ormai familiare letto bianco e asettico, la nonna è sparita; io rimango bloccata, ferma come una statua, finché entrambi voltano il viso verso la soglia e mi vedono. Dio, quel groppo in gola mi sta uccidendo.

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