Vuotare il sacco

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Alle undici e trenta del giorno seguente, il mio autobus si fermò alla stazione di Galway ed io scesi dal mezzo, guardandomi intorno con aria sperduta. Avevo dovuto cambiare linea almeno tre volte, ma fortunatamente avevo deciso di partire prima, proprio perché sapevo che avrei fatto fatica a trovare tutte le coincidenze e ad orientarmi. Mi tirai il bavero della giacca fin sopra il naso e cominciai a camminare, maledicendo il freddo vento oceanico che soffiava in quella nuvolosa e cupa giornata di fine novembre.

Passeggiando nel centro della cittadina, scoprii che Galway era davvero bella: le vie ciottolate, strette fra due file di case dai colori sgargianti, brulicavano di persone, bandiere irlandesi sventolavano fuori dai terrazzi e le arzigogolate insegne dei locali adornavano i muri degli edifici, conferendo all'ambiente una spiccata allegria nonostante i grossi e bassi nuvoloni scuri che si stavano lentamente accumulando sopra i tetti ed i camini.

Un sonoro brontolio del mio stomaco mi avvisò che l'ora di pranzo si stava avvicinando, quindi individuai il primo bar ed entrai, facendo tintinnare un batacchio sopra la mia testa, ritrovandomi poi in un ambiente caldo ed accogliente, con sgabelli in vimini davanti al bancone e tavoli in legno scuro nella grande sala ristorante.

«Scusi!» esclamai, richiamando l'attenzione di un cameriere, «Non è che avete un tavolo per... cinque, sei persone?» domandai.

L'uomo mi rivolse un sorriso e mi fece cenno di seguirlo, indicandomene poi proprio davanti alla grande vetrata che si affacciava sulla via principale.

«Grazie mille» dissi con un sorriso, proprio mentre il cellulare nella tasca posteriore dei miei jeans cominciava a squillare.

Lo sfilai dai pantaloni e il nome di Labhraidh fece capolino sullo schermo illuminato, così accettai la chiamata ed esordii: «Ehi! Dove siete?».

«Abbiamo appena parcheggiato vicino ad un ospedale. Tu dove sei?» mi domandò il mio amico, e sentii in sottofondo la voce di Michan che mi salutava con entusiasmo.

Afferrai il menu che si trovava sul tavolo, in verticale in un appoggio di legno, e fui costretta a leggere da lì il nome del bar, in quanto, entrando nel locale, non ci avevo affatto prestato attenzione: «Sono in un pub... si chiama Front Door. Hai Google Maps?» domandai poi, rimettendo a posto la lista delle pietanze.

«Sì» mi rispose Labhraidh, per poi aggiungere: «Stai già cercando, Michan?».

«Sette minuti e siamo lì» sentii Michan rispondergli, e Labhraidh ripeté, parlando con me: «Dovremmo arrivare fra sette minuti, ma io sono lento e stanco quindi fai anche quindici».

Scoppiai a ridere e, dopo avergli dato dello "scansafatiche senza speranze", gli intimai: «Vedi di muoverti, tesoro, perché io sto morendo di fame. Letteralmente».

Borbottando parole indistinte, Labhraidh mi salutò e chiuse la chiamata, ed io rimasi a dondolare i piedi giù dalla sedia, aspettando con impazienza i miei migliori amici, che mi mancavano in modo indescrivibile.

Osservando la moltitudine di persone che camminava lungo la via principale, separata da me solo da un vetro spesso un paio di centimetri, mi domandai come sarebbe stato avere una vita normale, senza poteri e senza l'ingombrante fardello delle fate sulle spalle, e per un secondo invidiai gli esseri umani, così meravigliosamente inconsapevoli di ciò che si celava nell'ombra.

Mi soffiai via la frangetta dagli occhi e poggiai il mento sul dorso della mano, domandandomi se gli umani si sarebbero mai resi conto dell'esistenza di esseri soprannaturali. Dopotutto avevano creduto per secoli, millenni, nella reale presenza di creature dalle strabilianti doti magiche, ma lo sviluppo della scienza e delle tecnologie avevano soppiantato totalmente le antiche credenze, e, a parer mio, questa era stata una fortuna. Nel Seicento, orde di contadini inferociti e armati di forconi si erano lanciate in folli caccie alla strega, e chissà cosa sarebbe potuto succedere se gli umani del ventunesimo secolo avessero scoperto il nostro piccolo segreto. Probabilmente ci avrebbero rinchiusi in laboratori sotterranei e avrebbero eseguito orribili esperimenti su di noi, ma finché saremmo rimasti isolati, nell'ombra, nessuno avrebbe sospettato di nulla.

Stirpe Di StregaWhere stories live. Discover now