Il Gobelin

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«Signorina O'Brien!».

Il cactus seduto davanti a me, con un ampio sombrero e un paio di baffi alla messicana, mi stava chiamando, ma la sua voce appariva stridula e ovattata alle mie orecchie, così mi sporsi verso di lui per udirlo meglio. Eravamo seduti entrambi sotto un grosso albero dalla chioma gigantesca e le ampie fronde ci riparavano dai bollenti raggi del sole del Messico, mentre il cielo blu, macchiato da rade e candide nuvolette, appariva quasi dipinto dal tanto che era intenso. Io e il cactus stavamo prendendo il tè, e il dorato disegno di un drago cinese scintillava sulle tazzine di porcellana, con le lucide squame d'oro che facevano apparire vivo l'animale.

«O'Brien, mi stai ascoltando?» domandò ancora il cactus e questa volta la sua voce mi giunse più forte e nitida. Il cielo azzurro parve incresparsi e la mia vista tremolò: le foglie dell'albero mi apparvero per un secondo sfuocate, e persi momentaneamente la percezione del peso della tazzina fra le dita.

«O'Brien!» urlò ancora la voce, e un colpo forte alla gamba fece definitivamente sgretolare il paesaggio messicano che avevo di fronte.

«Ahia...» borbottai, sollevando la testa e sbattendo le palpebre rapidamente, nel tentativo di abituarmi alla forte luce.

«Stava... dormendo?! Nella mia classe?!» strillò in quel momento la voce che fino ad un secondo prima apparteneva al cactus con i baffoni e il sombrero.

Mi stropicciai gli occhi e, mettendo a fuoco l'ambiente attorno a me, mi resi conto con crescente orrore che mi trovavo in una classe, più precisamente nell'aula della professoressa di arte, e che fino ad una manciata di secondi prima stavo profondamente dormendo con la testa poggiata sul banco e l'astuccio che fungeva a cuscino.

«I-io...» balbettai, guardandomi intorno e notando la mia vicina di banco che cercava inutilmente di non ridere, così come tutti gli altri studenti. L'unica per nulla divertita pareva la professoressa, che mi stava fissando con aria via via più truce, mentre il suo collo si chiazzava lentamente di rosso dalla rabbia.

«I-io...» balbettai di nuovo, «...Mi dispiace moltissimo» sussurrai, sopraffatta dalla vergogna come mai in vita mia.

«Non so se lei fosse abituata in questo modo nella sua vecchia scuola, ma nella mia aula questi comportamenti sono inaccettabili!» strillò la donna, in tono talmente alto che riuscii a vedere le vene del suo collo tendersi quasi fino a scoppiare.

Abbassai lo sguardo sulle mie mani, posate in grembo, e ripetei in tono basso: «Mi scusi... non si ripeterà più».

«Certo che no, altrimenti può considerarsi espulsa dalla mia classe!» gridò ancora l'isterica donna, voltandomi poi le spalle e tornando con fare impettito alla cattedra.

Sbattei la testa sul banco e mi maledissi per aver passato l'intera nottata a leggere, andando a letto verso le quattro e mezza e limitando al minimo le mie ore di sonno.

«Non credo di aver mai visto la Gallagher così incazzata! È stato esilarante!» sentii dire da qualcuno mentre camminavo nei corridoi, dirigendomi verso la classe successiva.

Feci una smorfia e Simone, che camminava al mio fianco, esclamò: «Non ci credo che ti sei davvero addormentata nella sua classe! Dio, quanto avrei voluto assistervi!».

«Lasciamo perdere, ti prego! Volevo sotterrarmi dalla vergogna... a mia discolpa posso dire solo che le ante chiuse e la sola luce del proiettore non mi abbiano proprio invogliata a rimanere sveglia» borbottai, sbuffando con aria afflitta.

«È lei, quella nuova! Dormiva proprio di brutto» sentii una ragazza bisbigliare alle amiche, e tutte e tre si voltarono verso di me, sogghignando e cercando invano di non farsi vedere dalla sottoscritta.

Stirpe Di StregaWo Geschichten leben. Entdecke jetzt