Alcuni studiosi chiedono di cambiare il finale della serie

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13 Reasons Why: Alcuni studiosi chiedono di cambiare il finale della serie
Quando si sente parlare di Tredici (o 13 Reasons Why nella sua versione originale) conosciamo benissimo l'ormai noto riferimento alle vicende di Hannah Baker (Katherine Langford) e delle ragioni che hanno portato la ragazza al suicidio. La serie, una vera e propria rivelazione del colosso dello streaming Netflix, è stata accolta da un enorme successo di pubblico poiché apriva le porte alla discussione su argomenti tabù, che la società è portata a tacere poiché ritenuti scomodi, come il bullismo, lo stupro e il suicidio.

Lo scopo iniziale dei produttori era, infatti, quello di scoprire un po' quell'enorme vaso di Pandora che permettesse di aprire gli occhi sulla realtà che molti adolescenti si trovano a vivere in un ambiente che dovrebbe essere quello più sicuro per loro, la scuola, luogo dove gli uomini e le donne del futuro costruiscono le loro prime relazioni autonomamente e scoprono se stessi. Il successo della serie, tuttavia, ha comportato anche alcuni episodi di emulazione che non sono passati inosservati a studiosi e psicologi che hanno espresso alcune perplessità sull'utilità sociale della serie.

Ma entriamo nel dettaglio: Tredici aiuta davvero a prevenire tali situazioni?

Gli scienziati su Tredici: Troppi particolari sul suicidio
Da uno studio pubblicato sul Jama Internal Medicine, pare che nei giorni successivi alla messa in onda della serie su Netflix, le ricerche sul suicidio da parte dei giovani utenti siano aumentate del 26%: le ricerche su Google, infatti, vedevano frasi simili a "Come commettere suicidio", "suicidarsi" e "Come uccidersi". Allo stesso modo, è stato riscontrato un aumento di ricerche relative a procedure di supporto come numeri per la prevenzione del suicidio e organizzazioni e associazioni atte ad aiutare chi si ritrova in tali situazioni.

La problematica maggiore relativa alla serie è che secondo molti studiosi, questa non rispetta le norme dell'Organizzazione Mondiale della Sanità che prevedono di non fornire informazioni dettagliate sulle modalità di suicidio: la scena in cui la giovane Hannah Baker si toglie la vita, infatti, è estremamente dettagliata e dura ben tre minuti. Secondo gli autori dello studio, dunque, il finale della serie dovrebbe essere cambiato, per lo meno evitando di mostrare le scene relative al suicidio della Baker con tale dovizia di particolari.

Nic Sheff, uno degli scrittori di 13 Reasons Why, ha spiegato le sue ragioni

L'autore della serie sul suicidio di Hannah: "Credo fosse necessario mostrarlo"
Sheff, tra i produttori della serie, ha difeso più volte le scene in cui viene mostrato il triste epilogo di Hannah Baker. In un'intervista su Vanity Fair l'uomo ha confessato che, dalla sua personale esperienza, era necessario che la ragazza raccontasse la sua storia.

"Se quella donna non mi avesse raccontato la sua storia, non sarei qui ora", ha detto Sheff, dopo aver confessato di aver tentato il suicidio ma di essersi fermato al ricordo delle vicende di una donna che gli aveva raccontato di come aveva provato a togliersi la vita. "Mi sarei perso tutti questi straordinari doni che ho nella mia vita ora".

L'esperienza diretta con il suicidio, dunque, ha portato Sheff a non voler risparmiare le scene cruente e realistiche della morte di Hannah al pubblico, per far sì che la voce della giovane riecheggiasse nelle loro menti qualora avessero voluto compiere un gesto efferato. Nonostante ciò, secondo alcuni – tra cui gli autori dello studio – un lieto fine avrebbe causato meno danni sociali. In effetti ciò che è mancato in Tredici è stato un messaggio di speranza, nei confronti di situazioni difficili e delicate come quelle trattate dalla serie.

Un finale diverso di 13 Reasons Why avrebbe avuto un riscontro differente?

Tredici: Un lieto fine per Hannah e Clay avrebbe cambiato le cose?
Non è inusuale, infatti, che i protagonisti del cinema e della televisione vengano presi a modello dagli spettatori, e in particolare dai più giovani. La serie, dunque, potrebbe avere un duplice impatto a seconda di chi è di fronte allo schermo: fare in modo che si responsabilizzi su tali temi e decida di non dare spazio a episodi di bullismo, di solitudine e di egoismo nella propria vita e in quella del prossimo o, dall'altro lato, far vedere il suicidio come unica strada per la fine di situazioni simili a quelle vissute da Hannah. Inutile sottolineare che questi temi devono sempre e comunque essere trattati con la massima cautela: se mostrare il suicidio della giovane può aiutare molti a prendere coscienza di un gesto a dir poco atroce, ad altri può fornire indicazioni piuttosto precise sul "procedimento".

Probabilmente, una conclusione della storia diversa, che avesse portato Hannah a riprendersi dal suo status di depressione e sconforto, grazie all'aiuto di chi le stava accanto, avrebbe conferito alla serie un clima differente e probabilmente avrebbe insegnato allo stesso modo moltissimo sulle situazioni che gli adolescenti di oggi si trovano a vivere.

Per "risolvere" la questione, tuttavia, potrebbe esserci ancora un modo.

Tredici è ambientata nel futuro: un possibile what-if?
Come molti sanno, la serie è ambientata qualche mese nel futuro. Questo potrebbe permettere, nella prossima stagione, di stravolgere un po' il finale della prima, inserendo – o facendolo diventare – una sorta di what if che possa portare un lieto fine ad Hannah ma soprattutto dare speranza a chi guarda la serie.

Non bisogna mai dimenticare, infatti, che spesso le nostre emozioni, le nostre situazioni sono veicolate da ciò che viviamo giorno dopo giorno e che ormai la serialità televisiva è diventata parte delle nostre giornate. In particolare per i più giovani, le vicende che vengono proposte, così come la musica e tutto l'ambiente circostante, diventano un modo per elaborare sentimenti, relazioni e stati d'animo e a formare un'educazione emotiva che gli adolescenti di oggi porteranno con loro per tutta la loro vita: la formazione di giovani e (futuri) adulti responsabili, dunque, passa anche attraverso ciò che viene trasmesso sul loro piccolo schermo. Come sosiene Paolo Crepet, psichiatra e sociologo italiano, ogni programma televisivo contribuisce alla formazione della cultura sociale, in particolare delle nuove generazioni: la televisione non può esimersi dall'assolvere un ruolo primario nell'educare.

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