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Due famiglie vittime del suicidio di un loro parente stretto, hanno criticato la decisione di Netflix di proseguire 13 Reasons Why con una seconda stagione.

Prima che vi spendiate in aspre critiche contro chi all'apparenza potrebbe sembrare solo un fanatico moralista, sappiate che all'origine della notizia che stiamo per darvi sta il profondo dolore vissuto dalle famiglie di due ragazze d'oltreoceano che hanno provato sulla propria pelle la stessa, tragica esperienza dei Baker in Tredici. Come i genitori di Hanna, infatti, anche gli Herndon e i Chui hanno perso le loro figlie – rispettivamente di sedici e quindici anni -, le quali con un vissuto in tutto e per tutto paragonabile al racconto dipanatosi nella serie Netflix secondo la prospettiva della sua protagonista, si sarebbero tolte la vita proprio dopo aver visto 13 Reasons Why.

Le due famiglie non hanno voluto interpretare come fortuita tale circostanza, trovando sostanzialmente sfogo al proprio dolore con la denuncia della pericolosità dello show ispirato al romanzo di Jay Asher.

Ecco cosa hanno dichiarato...

Risparmiandovi lo straziante racconto dei familiari intorno alle circostanze in cui hanno sorpreso le due ragazze (cosa che poco attiene), ci vogliamo concentrare invece sulle parole da loro usate nell'intervista apparsa su Fox 2 per spregiare un prodotto televisivo postosi d'altronde cautamente su una linea di lettura diametralmente opposta a quella datane dagli Herndon e i Chui.

Peter Chui, zio e tutore di una delle ragazzine, ha dichiarato: "Credo sia pericoloso per quella piccola percentuale di giovani adulti per i quali lo show può diventare una spinta, e penso che è come se la serie fornisse solo un'unica alternativa al cyberbullismo ed altri problemi dei giovani".

La Herndon, per esempio, era da poco uscita da un lungo periodo di depressione dovuto proprio ad una brutta esperienza con i bulli, ma nonostante il trasferimento in un altro istituto, la sua vivacità con gli altri o il proprio talento di autrice in erba, nulla è servito a fermarla, e 13 Reasons Why l'avrebbe fatta definitivamente cedere.

Ma è davvero possibile una simile reazione?

Augurandoci che simili notizie rappresentino solo limitati casi isolati fra tutti coloro che si sono approcciati alla serie di Netflix, ci teniamo a ricordare che la produzione dello show ha sempre sottolineato di aver lavorato a stretto contatto con specialisti del settore. Operando insomma nel pieno rispetto degli spettatori più fragili, cercando di non urtarne la sensibilità ma di raccontare soltanto una storia volta anzi alla stigmatizzazione di un gesto così estremo, prima di ciascun episodio sono state anche apposte le dovute raccomandazioni.

Noi stessi vi avevamo spiegato che se la scena madre di Hanna, in cui la sua interprete si immerge nell'acqua calda per accorciare i tempi della morte, non è stata accompagnata che da un silenzio agghiacciante è stato perché, secondo studi ben documentati, le crude immagini di chi compie un simile atto stornano dal potenziale suicida l'idealizzazione di quell'atto stesso.

Ma alle famiglie delle due ragazze, tutto questo non è bastato...

Cionostante, di fronte alle giustificazioni del creatore di 13 Reasons Why, che rigetta l'accusa di aver idealizzato il suicidio dichiarando al contrario di aver voluto suggerire l'idea opposta, il padre della Herndon non ci sta, e contrattacca:

"Non ho parole per descrivere il mio disprezzo per le persone che hanno realizzato una cosa del genere. Non puoi convincermi che stavano tentato di concentrare l'attenzione sul problema del suicidio giovanile mostrando una ragazzina che si ammazza. Non c'è nulla di positivo in tutto questo".

E poi, contro il rinnovo per una seconda stagione:

"Non portate a termine il rinnovo di una seconda stagione di 13 Reasons Why. Fermatelo! E' sbagliato! State facendo soldi sulla disperazione altrui".

E chissà se Netflix sarà mosso a compassione di certe voci, sebbene isolate, soprattutto ora che cedendo alle richieste dei fan di Sense8 ha creato un pericoloso precedente.

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