Siamo più simili di quanto mi aspettassi.

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Aria si risvegliò lentamente dal profondo sonno nella quale era caduta precedentemente e, quando aprì gli occhi, notò che era in una stanza totalmente diversa dalla sua, neanche la conosceva.

Per un attimo, aveva creduto di star sognando qualcosa, ma poi vide Iosif che dormiva con la testa poggiata sulle proprie braccia, sopra il letto e quindi capì che si trovava nella realtà. Lei cercò di alzarsi, ma aveva delle fitte all'addome e non riusciva a muoversi benissimo, quindi a causa dei movimenti tentati, svegliò il ragazzo biondo.

- Ti sei svegliata. -

- Cosa è successo? - chiese quindi l'Elfo dai capelli azzurri, un po' spaventata e ancora stordita.

- Sei svenuta. E hai dormito per un giorno intero. -

- E dove siamo ora? -

- Ti ho portato in ospedale. Mi hai fatto prendere un infarto, onestamente parlando. -

Aria guardò attentamente quel ragazzo straniero e poi voltò lo sguardo altrove, verso il tetto bianco della stanza d'ospedale.

Lui continuava a guardarla apprensivo e preoccupato, in ansia per le condizioni di lei e per la storia in cui lui, senza motivo, si era intromesso. Una storia che non aveva molto senso per il biondo, ma forse sapeva meno di ciò che credeva.

Improvvisamente, dalla porta entrò qualcuno e iniziò a parlare con Aria: Zen era corso immediatamente lì appena aveva saputo della cugina e, insieme a Iosif, era stato a vegliarla per tutto il tempo. Si era allontanato per prendere "una buona dose di caffè."

- Come ti senti? - chiese.

- Sto bene, ma mi sento un po' strana. - rispose assente lei, fissando comunque il tetto.

- Beh, carenza di sonno e stress continuo fanno quest'effetto. Risaputo. - esordì Iosif, avvicinandosi alla ragazza e allungò le mani, notando che le coperte erano leggermente macchiate.

Aria, appena lui si avvicinò, tentò di tenere le coperte strette a sé ma lui era molto più forte di lei, come si poteva ben notare dal corpo ben allenato, e afferrò quel copriletto: lo spettacolo che ebbe davanti lo spaventò. Aria era piena di sangue. In una sola e unica zona.

- Oddio. - sussurrò lui, quasi inorridito.

L'Elfo urlò dalla vergogna e Zen cercò di calmare la cugina, ma non fece altro che peggiorare la situazione: arrivò quindi un'infermiera, che allontanò i due ragazzi e li pregò e intimò di non rientrare prima di due ore.

- Perché due ore? - si lamentò il ragazzo dai capelli biondi, con le mani in tasca, mentre si dirigeva fuori.

- Forse si è solo infastidita. - sospirò Zen ma, appena fu fuori l'ospedale, si rivolse ancora al ragazzo del Nord. - Perché ti ha fatto tanto impressione? Insomma, anche gli Elfi donna hanno il ciclo mestruale. -

Iosif prese una sigaretta dalla sua tasca sinistra e l'accese: la portò alla bocca e iniziò a fumare, poi si rivolse all'Elfo e offrì una di quelle, ma lui rifiutò.

- Insomma. Tu sei un soldato, non dovresti avere di questi problemi. -

- Bene, da dove inizio? - iniziò a parlare il ragazzo, alzando lo sguardo verso il cielo leggermente nuvoloso della Capitale.

Provengo dalla zona Nord di Meral, profondo Nord: il mio villaggio si chiama снег. Nella mia lingua, si pronuncia "Sneg", significa neve. A differenza della città più grande, Lid, il nostro era un villaggio molto freddo e molto povero. In questo villaggio, non c'è estate, primavera, autunno ed è perennemente inverno, totale dominanza della neve. Spesso, molti bambini morivano assiderati subito dopo la nascita: noi, tutti quelli che continuavamo a vivere, eravamo i "sopravvissuti". La neve rappresenta l'animo di tutti noi, freddi e senza colore. Io sono il primo di otto figli. Vivevo in una capanna estremamente povera. Mia madre veniva dall'Est, da Barria, da una delle zone più desertiche di Meral; mio padre viveva lì, e mia madre si innamorò così tanto di lui da seguirlo fino all'Inferno di neve. Nonostante le mancasse il sole e il caldo pungente, lei rimaneva in quella capanna solo per amore. Quando nacqui io, sin da bambino, dovetti sopravvivere a qualsiasi pericolo, a qualsiasi problema: dovevo anche essere di aiuto a mia madre, dato che mio padre era un soldato. Ogni volta che lui tornava, facevano un figlio e poi lui andava via. E, ogni qual volta lei partoriva, era una sofferenza... Il sangue, le urla, il dolore. Io assistevo senza saper fare qualcosa e lei partoriva sola, aiutata solo da mia nonna. Dei otto figli avuti, solo in tre siamo arrivati oltre i tre anni.

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