Mi guardava con insistenza, strenuo, poderoso, fervente, e io non sapevo che dire. Sentivo solo la sua mano fredda stretta attorno al mio polso, e non avevo idea di cosa fare, di come comportarmi. La mia mente pareva in blackout mentre lo osservavo:avanzava verso di me, a passi lenti, fin quando non arrivò cosi vicino da costringermi ad alzare il capo per mantenere il contatto visivo, a causa dei centimetri di altezza che aveva palesemente in più rispetto a me.
Con un dito mi afferrò una ciocca di capelli e me la portò dietro l'orecchio. Allungò entrambe le mani verso il mio viso; socchiusi gli occhi, mentre lo sentivo afferrare la montatura nera dei miei occhiali. Lento e cauto, me li sfilò, e li posò sul tavolino in legno, di fianco a noi.
Alzai le palpebre, ritrovandomi davanti una figura scura, sformata ed imprecisa, dalle dubbie linee. Il viso era irriconoscibile, non ero in grado di cogliere neanche i tratti più evidenti del volto:la mia miopia aveva avuto la meglio, aveva coperto la mia visuale come una tovaglia che sovrasta la tavola, uno spesso velo, privandomi della possibilità di osservare ciò che mi era intorno. Strinsi leggermente gli occhi, infastidita dallo sforzo che ero costretta a fare per poter vedere.
Vidi qualcosa avvicinarsi al mio viso, e le sue mani mi sfiorarono la pelle. Ebbi uno insolito tumulto interno quando percepii quel suo movimento, solo quando mi capacitai di quel contatto.
Rimasi ferma, immobile, mentre mi allargava l'occhio, analizzandomi scrupolosamente orbita e pupilla, in cerca di qualcosa, di qualche segno che gli desse modo di capire che avevo assunto stupefacenti. Ma non trovò, prevedibilmente, niente.
Lo sentii sogghignare sommessamente, mentre le sue dita si allontanavano dal mio viso. In quello stesso momento, ebbi quasi l'impressione di sentirmi più leggera: avevo provato come uno strano peso al cuore, come un qualcosa che mi opprimeva, mi premeva  poderosamente al petto. Era come se avessi ripreso a respirare, eppure mi sentivo stranamente vuota, come se d'un tratto avesse iniziato a mancarmi qualcosa, qualcosa di bello, qualcosa di importante.
Sbattei le palpebre più e più volte,quando mi portò nuovamente gli occhiali a loro posto. Feci qualche passo indietro, in un gesto quasi istintivo e impercettibile,e chinai flebilmente il capo. Deglutii a vuoto, in evidente imbarazzo.
«Complimenti,ragazzina. Avevi ragione, mi sono dovuto ricredere:niente droga.» esclamò, con il suo ormai conosciuto sorriso strafottottente.
«Avresti anche potuto risparmiartelo. Sapevi benissimo che non ero fatta, e poi si vedeva lontano un miglio che ero pulita.» dissi, riportando gli occhi su di lui.
Di tutta risposta, fece spallucce.
«Prevenire é meglio che curare.»
«Non é compito tuo curarmi..semmai é viceversa. Io dovrei disintossicarti dalla droga, tu non devi fare proprio niente.» ribattei, seria.
«Nel mio caso si parla di droga, questo é vero, ma non é del tutto corretto quello che hai detto.» continuò. «Tutti noi abbiamo qualcuno o qualcosa da cui sentiamo il bisogno di essere salvati,di cui vorremmo liberarci, magari..evadere.» disse, assumendo un'espressione impassibile, tesa, e insolitamente seria. Si mosse di qualche passo. «Tutti noi abbiamo qualcosa da cui necessitiamo di essere curati. Qualcosa, o magari..qualcuno.» disse, con la voce sempre più bassa, sempre più ponderata. «Qualcuno come noi stessi..qualcosa come il passato di cui facciamo parte, e che magari vorremmo distruggere..farlo a brandelli come una forbice con i capelli..come un foglio di carta nel fuoco.» continuò, questa volta sul punto di sussurrare. Rimasi senza parole, nel sentire quelle parole, nel sentire tanta verità dal cuore di un ragazzo come me. Un ragazzo che, a differenza mia, non aveva avuto la vigliaccheria di nascondersi, di far finta di niente, far finta di essere invincibili, indistruttibili, un carro armato coperto di piombo, rinchiusi in una gabbia di cemento armato. E mi chiedevo come fosse stato possibile, mi chiedevo perche lui avesse trovato il coraggio di ammettere di aver bisogno di aiuto con l'eroina..e io, di coraggio, non ne avevo trovato per ammettere di aver bisogno di aiuto con me stessa..con il mio passato. E mi sembrava assurdo, una cosa impensabile, d'un tratto mi parve di vedermi passate davanti agli occhi tutti i miei sbagli, le mie codardie, tutte quelle volte in cui avevo mentito, forse più a me stessa che al mio interlucore, tutte quelle volte in cui avevo finta di niente, facendo sempre leva sulla frase di scorta "é solo un momento un pò cosi", quando invece, per una volta ed una soltanto, avrei dovuto dire "sto male come un cane, mi sento diventare un tutt'uno di sofferenza, io e il mio passato,sono nella merda e non ho idea di come uscirne". Cazzo si, quante sacrosante volte avrei dovuto dirlo, e non ho mai detto niente. Stavo bene, ogni cosa che mi succedeva stavo bene, era solo un periodo particolarmente malinconico, ma stavo bene..quelle erano le mie solite scuse. Eppure, cazzo, sapevo che non era vero. Lo sapevo perfettamente, anche quando mi dicevano "ma sei sicura?". E io no,non ne ero affatto sicura,anzi..non ci credevo minimamente,ma non potevo dire la verità, ero troppo vigliacca per farlo.
«Tutti abbiamo bisogno di essere curati.»
«Non tutti sanno ammetterlo.»
«Non tutti vogliono ammetterlo, ragazzina. La cosa é ben diversa.»
«No,perche fondamentalmente il concetto é lo stesso. Chi non vuole ammetterlo é perche non sa come affrontare il fatto che da solo non può farcela. Se analizzi il tutto nell'insieme,stiamo dicendo la stessa cosa.» terminai, seria, guardandolo fermamente negli occhi.
«Gia..» esclamò, tornando al suo sorriso.
«Benvenuta nella testa dell'anonimo Weber, ragazzina.»

ASSENZIO - AXENHTIUM Where stories live. Discover now