So, diary, I'll confide in you (parte 3)

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Decise che avrebbe indagato con cautela, dopotutto il suo amico era un ragazzo molto, molto sensibile, e magari non aveva piacere che gli fossero fatte domande al riguardo. Ma nessuno tranne lei poteva rivestire quel ruolo, a chi avrebbe dovuto lasciare il compito? A Damon, forse? Lui la delicatezza non sapeva nemmeno dove stava sul vocabolario, e sospettava che Giuseppe fosse un tipo dello stesso genere.

Sospirando sconsolato, il ragazzo scosse la testa. «Lasciamo stare, ti va?» la pregò, quasi, con la faccia di chi ha davvero bisogno di essere lasciato un momento da solo con se stesso.

Lei annuì e basta, comprendendo che aveva bisogno di fare ordine, o almeno provarci. Al posto suo, se avesse saputo una notizia come quella che, di sicuro, aveva saputo lui, avrebbe reagito esattamente nello stesso modo, ma non ebbe modo nemmeno di dirgli una parola di conforto, perché la professoressa decise di fare la sua comparsa, con circa venti minuti di ritardo.

Nella sua confusa e trafelata spiegazione, riuscì a capire che era colpa dei ragazzini della scuola media, fin troppo interessati a dove avrebbero studiato l'anno successivo.

«Vedo che quest'anno siete molti.» osservò la donna, gentile, subito dopo. «Quindi, prima di cominciare volevo chiedervi cosa vi appassiona della scrittura.»

Stefan si concesse un sospiro, sotto lo sguardo preoccupato della sua migliore amica che a stento aveva sentito la domanda, né si curò delle risposte altrui.

Per fortuna il turno prima del suo era proprio del ragazzo al suo fianco.

«Io...» balbettò lui, indeciso. «...credo che mi piaccia perché mi aiuta a esprimermi. Sono più bravo a scrivere che a parlare.»

Ed era quello che sentiva il bisogno di fare adesso, buttare giù una pagina o due di diario su quanto appena accaduto con Caroline e cercare di venirne a capo. Non se lo ricordava proprio com'erano finiti dal litigare al fare sesso su un vecchio materasso.

E aveva pure una ragazza a cui doveva assolutamente una spiegazione, perché il solo pensiero di nasconderglielo con la scusa che era stato un errore passeggero gli faceva venire il vomito. Non sarebbe diventato... Damon.

«E tu, Elena?» chiese l'insegnante, rivolgendosi a lei.

«Scrivere mi aiuta a calmarmi.» raccontò lei, un po' incerta e intimidita da tutte quelle teste girate nella sua direzione. «È uno sfogo, riesco a liberarmi di ogni tipo di peso, mi piace molto perché quello che scrivo non fa domande, è così e basta, mi lascia essere quello che sono.»

Ed era libera, libera per davvero. L'unica persona a cui non aveva il bisogno di nascondere nulla era proprio se stessa, questo era il bello e il brutto del mettere per iscritto ciò che sei davvero.

Ma era anche il motivo per cui stava così bene in presenza di Damon, perché lui, proprio come il suo diario, l'aveva accettata e basta, con tutti i suoi problemi e i suoi difetti e non aveva nemmeno pensato una volta di dirle che non andava benissimo così.

Era il modo migliore per essere amati.

O forse era l'unico modo per amare. Chi poteva dirlo? Quello era certamente il suo.

"Se le persone ci amano, allora lo fanno per come siamo già, non per le aspettative che nutrono su di noi.

Non posso pretendere che qualcuno cambi per me, non è giusto. Nessuno dovrebbe amare in questo modo. Non è amore."

Non seppe mai com'erano finiti a parlare proprio di quello, perché non stava proprio ascoltando, persa nei ricordi di quella che era stata una delle prime, vere conversazioni col suo ragazzo. Stefan era seppellito quasi sotto al banco, con l'aria di chi ha voglia di parlare di tutto tranne che d'amore, e che vorrebbe solo scomparire.

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