Should I tell him how I feel...? (parte 2)

5K 101 36
                                    

Damon sospirò, all'ennesima chiamata senza risposta verso quella ragazzina che non stava facendo altro che farlo preoccupare. Non che se la immaginasse sul cornicione di casa sua mentre minacciava di togliersi la vita per non aver riavuto il suo diario entro un certo orario, ma poteva anche sforzarsi di rispondere al telefono, di tanto in tanto.

Così, giusto per sport.

Tra l'altro gli scocciava anche presentarsi a casa sua quando c'erano i suoi, e non perché li temesse o si sentisse in qualche modo in soggezione in loro presenza, ma se n'era andato da Mystic Falls per una serie di ragioni che loro sembravano sempre là per ricordargli, un po' meno Miranda, ma sopportava la sua presenza solo per Elena, e questo lo sapevano tutti.

Le atmosfere pesanti gli piacevano poco - specialmente se non le creava lui intenzionalmente, e dal momento che sapeva che se avesse tenuto un certo comportamento avrebbe solo ferito la ragazzina, doveva anche sforzarsi di comportarsi da persona civile - e casa Gilbert quando c'era lui era il regno dell'imbarazzo.

Sperò che a quell'ora quei due stessero lavorando - anche se non aveva idea di quali fossero i loro orari lavorativi perché non era una cosa che aveva mai chiesto, e non gli importava granché, se proprio doveva essere sincero -, e nemmeno lo sapeva perché non aveva chiesto ad Elena di andare da lui, invece che fare il contrario: a casa sua ci sarebbe stato meno pericolo di essere seccati, a meno che Stefan e sua madre contemporaneamente non avessero deciso di ricoprire il ruolo che aveva avuto la Barbie tutta la notte e finché non aveva tolto le tende.

Quando suonò al campanello gli andò ad aprire Jeremy, con delle cuffie enormi sulle orecchie e l'aria totalmente spaesata. In effetti, Damon non si faceva vedere tanto spesso a un orario del genere. Anzi, non si faceva vedere e basta, se poteva evitarlo.

«Ciao.» salutò Damon, forse un po' distaccato. «Elena è in casa?»

Il ragazzino si limitò ad annuire e a lasciarlo passare. «È in camera sua.» lo informò, spostando una di quelle cuffie dall'orecchio, forse per sentire meglio l'ospite inatteso. «Faresti meglio a fare in fretta ad andartene, prima che torni mia madre. So che Elena non dovrebbe vedere nessuno finché non recupera la D di ieri in trigonometria.»

Damon annuì, lentamente. «Ti ringrazio.» non lo disse come se fosse stato davvero un ringraziamento, perché c'era una certa dose di ostilità nel modo di fare di quel ragazzino.

Non perse altro tempo e salì le scale, e non perché non avesse una scusa valida per trovarsi lì, dato che avrebbe semplicemente potuto affidare il diario a Jeremy, ma voleva convincersi che non era lì solo perché voleva vederla, anche se non aveva idea di quale fosse camera sua, perché l'unica volta che era arrivato a mettere piede in quella casa, la sua esplorazione si era fermata al piano inferiore.

Comunque non c'era molto da indovinare: su una porta, proprio di fronte alle scale, c'era un pendente con una E, piuttosto vistoso, fatto di pailettes tutte rosa: una di quelle cose che si comprano a tredici anni e che poi si lasciano lì, un po' per nostalgia, un po' perché, in fondo, toglierli sarebbe un dispiacere più grande che tenerli.

Bussò, ma non ci fu nessuna risposta.

«Elena?» chiamò. «Sono Damon, sto entrando.»

Di nuovo, non ricevette risposta e lo prese come un silenzio assenso. Magari stava studiando, oppure anche lei aveva le orecchie impallate da chissà quale musica.

Ma in camera non c'era nessuno.

Probabilmente, se ne rese conto anche da solo, sarebbe dovuto uscire, oppure aspettare di sotto, o chiedere a Jeremy se fosse tanto sicuro del fatto che sua sorella fosse in casa, eppure la tentazione di osservare quella stanza - che poteva dire tante cose su una persona - era troppo grande per rinunciare.

Dear Diary - The Vampire DiariesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora