And I thought my heart could fly (parte 1)

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Le notti in cui rimani sveglio a fare l'amore, chiacchierare e ridere fino all'alba, in cui ci si confessano cose intime, cose di cui ci si è sempre vergognati, sono le notti in cui ti senti così vicino che nessuna distanza ti separa dalla persona al tuo fianco. Si è complici in tutto.

Le notti in cui la bellezza dilata il tempo, in cui il presente è così perfetto e lo si indossa così bene che si cominciano a fare promesse, giuramenti, patti, perché quella bellezza fa sentire dentro di sé una spinta verso il futuro. Quelle notti in cui è giorno all'improvviso e si rimane stupiti.

E senti che hai fame, fame di tutto: pane, burro, marmellata, soprattutto fame di Vita. In quelle notti è tutto così bello e si è così felici che, quando ci si gira su un fianco per addormentarsi, in qualche angolo profondo di sé si avverte una punta di dolore.

Un dolore primordiale, ignoto, che appartiene a tutti.

Fabio Volo – La strada verso casa

Elena sospirò, trattenendo un sorriso esasperato.

«Stai tranquilla, mamma.» ripeté, per l'ennesima volta. «Non sto andando in Burundi.»

Miranda si mosse a disagio, da un piede all'altro, lanciando un'occhiata a Stefan e Caroline che, al contrario di lei, non sembravano minimamente impensieriti, anzi: si stavano sbaciucchiando a pochi passi da loro.

«Lo so.» fece, tornando a guardare sua figlia. «È solo che è più lontano di un viaggio in macchina, e... se non ti trovi bene, o vuoi andartene e basta... io e tuo padre non possiamo venire a prenderti come faremmo in un'altra situazione.»

E, a dirla tutta, aveva ragione: l'Italia non era a due passi, di certo non era a una distanza raggiungibile in auto. Elena non aveva idea di cosa sarebbe successo laggiù: le cose con Damon erano ancora sul filo del rasoio, e l'unica consolazione che era riuscita a strappare era stato che Stefan si unisse a lei.

Era stata Mary a insistere, dato che il suo figlio più piccolo non vedeva i parenti da anni. E questo dava anche una scusa a lei e suo marito di fare i piccioncini per una settimana intera.

Damon era già partito da sette giorni, i suoi messaggi arrivavano in modo abbastanza costante per quanto permettesse il fuso, ed era un forte miglioramento rispetto all'ultima volta.

Eppure lei aveva sempre il sentore che ci fosse qualcosa di... scollegato.

«Andrà tutto bene.» rassicurò sua madre, tentando di fare lo stesso con se stessa.

Quella era la prova del nove, l'aveva promesso a se stessa giusto qualche ora prima: se non fosse andato bene nemmeno quello, con Damon non c'erano davvero più speranze.

Non lo sapeva proprio perché non aveva deciso di non andarci. Forse perché lui aveva insistito tanto, si era fatto promettere che l'avrebbe raggiunto, o forse perché, davvero, credeva che sarebbe servito a rimettere le cose a posto.

Di certo, non per l'ansia di conoscere i suoi parenti, no. Di quella avrebbe fatto volentieri a meno.

Ora che si trovava lì, all'aeroporto di Richmond, con sua madre davanti agli occhi e il carrello della valigia stretto tra le mani, realizzava che stava partendo per davvero. E di non aver mai preso un aereo.

«Tu chiamami appena arrivi.» insisté sua madre. «E anche se non ti trovi bene, se succede qualcosa. Io e tuo padre vediamo di farti avere un posto sul primo aereo disponibile. Okay?»

Elena annuì, piano, mentre Caroline passava a darle una pacca sulla spalla.

«Tranquilla, Miranda.» disse, gioviale. «Se Damon non si comporta bene, appena mette di nuovo piede in America gli faccio mangiare le palle prima che possiate arrivare tu e Grayson.»

Dear Diary - The Vampire DiariesWhere stories live. Discover now