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Fa schifo il tempo fuori. Nuvole sopra alle nuvole e c'è un'umidità pazzesca.
È da due giorni che non esco di casa. Non lo so, ho come una strana sensazione che mi accompagna.
Gli sguardi della gente mi agitano, mi tolgono il respiro e mi innervosisco.
Come cavolo ci sono finita in questa situazione? Ad avere paura della gente. Ad avere paura anche della propria ombra.
Non è questa la vita che voglio. Mi sono ritrovata a vivere una vita che non mi appartiene. Mi sono ritrova sola, triste, in una casa a guardare il cattivo tempo.
Bevo la mia camomilla. Ho bisogno di stendere i nervi.
Quando sento il campanello, poso la mia tazza e vado ad aprire. È mia madre con in mano un piatto coperto con della carta stagnola.
"Che buon profumo"
"È il polpettone che è avanzato oggi a pranzo"
Entra e chiude la porta.
"Il tempo sembra che voglia piovere"
"Lo vedo" dico.
Odiava il brutto tempo, avevo preso tutto da lei.
Scarta la carta e resto a guardare il piatto.
Alla faccia dell'avanzo.
"Mamma questo non è avanzato oggi, è un polpettone tutto intero" dico ridendo.
"Forse" ride anche lei.
Mia madre sa sempre come farmi sorridere. Il bello di lei è che non fa domande, con un solo abbraccio dice tutto. E a me fa bene.
Sta poco, papa ha la febbre e non può lasciarlo solo. Penso che forse è meglio che torni da loro. Perché la solitudine mi sta mangiando. Quasi quasi le dico di aspettarmi, mi sono stancata del mio letto freddo e vuoto. Poi però penso che a casa dei Miei ci sono troppi ricordi. Ho paura che sul mio cuscino ci sia ancora il suo profumo e so, so che mi verrà da piangere.
Penso che in quella casa ci sono troppi ricordi, troppi abbracci, troppi baci, troppo amore. Su quei muri c'è stampato tutte le cose che abbiamo fatto io e Lui quando non c'era nessuno a casa.
Non posso. Non ce la faccio. Rischio di crollare e mi sono stancata.
"Buonanotte tesoro"
Le do un bacio e appena chiudo la porta mi odio. Mi odio perché solo ad aver sfiorato il pensiero di quella casa mi ha distrutto. Piango forte.
Piango raggomitolata a terra e mi sfogo. Mi odio perché se piango vuol dire che non sto andando avanti. E se non sto andando avanti smetto di vivere.
Urlo il suo nome. Non riesco a dire altro. Il suo nome mi muore sulle labbra ed io mi addormento a terra, sfinita.

La mattina non ho una bella faccia.
Due occhiaie marcate e scure fanno grande contrasto con le mie lentiggini rosse.
Cerco di darmi una sistemata, ma non faccio più di tanto, mi manca la voglia.
Mangio solo un pezzo di mela, giusto per evitare di svenire in mezzo alla strada e magari evito di essere investita.
Voglio prendere in mano la mia vita, darle colore. Ho voglia di ritornare come prima. Felice. Sarò felice anche senza di lui. Ne sono sicura. Ho accettato l'idea. Starò meglio senza di lui.
Inizio a cercarmi un lavoro, poi devo fare assolutamente un po' di spesa perché il mio povero frigorifero piange.
Passo all'anfiteatro, dico alla gente che è lì se mi aiutano a cercare un lavoro. Sono disponibili, hanno detto che mi faranno sapere.
Le perone dell'anfiteatro sono le stesse persone con cui andavo a scuola.
C'è Patrizia, è rimasta la stessa, non sembra neanche cresciuta.
Poi c'è Carlo, fidanzato di Patrizia. È da una vita che stanno insieme. Beati loro.
C'è anche Gaia, lei è come me, cambiata da fare schifo, cannata dalla mattina fino alla sera. È lei che mi vende l'erba.
C'è Alessandro, un amico stretto di Andrea. Lo evito.
C'è anche la sorella di Tommaso, Ilaria. Mi guarda strano. Pensa ancora che sia colpa mia della sua morte. Non mi interessa, pensasse cosa vuole. Me ne vado, cerco ancora in giro.
In un bar cercano una barista. Anche loro mi faranno sapere.
Ho fatto qualcosa di diverso oggi, di solito sono sempre a casa a non far nulla, invece oggi ho progettato un futuro. Perché il lavoro è il futuro. Mi resta da fare la spesa. Vado al supermercato e non prendo grandi cose, l'essenziale. Più che altro la mia spesa si basa su primi pronti Giapponesi, Turco e Spagnolo. Una delizia ma al tempo stesso una bomba.
Pago ed esco. La prossima spesa deve essere assolutamente una macchina. Non posso fare tutti quei metri a piedi. Tra salite e massi di strada alti quasi dieci centimetri.
Una macchina mi sarebbe servita per tutto. Aggiudicato. Macchina in arrivo.
Inizio a camminare rassegnata, alla fine camminare fa bene e poi...
Non credo ai miei occhi.
No. Non è possibile. Non voglio crederci.
Forse ho le allucinazioni.
La spesa mi cade dalle mani.
Sono bloccata, non riesco a muovermi.
Cosa mi succede?
Il mio cuore accelera i battiti.
Io non riesco ancora a muovermi, i muscoli sono duri.
Le lacrime non le controllo. Pensavo di aver pianto abbastanza e invece no. Ho ancora lacrime nel mio serbatoio.
Riesco solo a dire una cosa, una parola. Lo dico a voce bassa, i suoi occhi che mi fissano mi rendono piccola piccola.
"Andrea"

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