Assassina.

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Celtus, mi consegnò un piccolo pugnale, dalla lama lucente con una scritta in lingua elfica, almeno così mi disse, che recitava "Cuore puro". Era un avviso, perché nel caso in cui cadesse nelle mani sbagliate non sarebbe stato possibile che fosse utilizzato da coloro con le mani macchiate dei peggiori delitti e di azioni disgustose.
Ovviamente, io non rientravo in questo caso, ma anzi secondo il piccolo, grande capo quella minuscola arma, avrebbe dovuto sprigionare una forza inumana e ultraterrena se usata da un'anima degna, del suo possesso, come deduceva essere la mia.
Un altro urlo ruppe il silenzio della foresta e delle nostre chiacchiere.
Quentin e Elide.
Jason e me.
Era impossibile non pensare a quello che avevo appreso una manciata di minuti prima. Un'altra tessera del padroncino di Maison Wood, andava a posto magicamente.
Il mio compagno di ricerca era cresciuto in un ambiente ostile dove far nascere un'emozione diversa dalla fedeltà verso il papa e la sua giusta causa, sembrava evanescente ed impensabile. L'amore e la fiducia verso la propria famiglia passava in un secondo piano per rincorrere l'idea della vincita di un bene, pronto a rompere legami di sangue e d'affetto.
Rapita, ancora una volta dai miei pensieri, calpestai un ramo secco scatenando un ulteriore stranazzo.
"Devi stare attenta prescelta", ringhiò sommosso Celtus, spostando delle foglie di acacia, di quello che pareva un albero troppo cresciuto.
Una strana bestia dalle lunghe ali di struzzo, dalla coda nera e folta di un formichiere gigante stava sbranando quello che sembrava un prezzo di carne nera in putrefazione.
"Qu... quello è il Wendick?", mormorai, guardando il lungo becco giallo della bestia, intento a succhiare anche il più piccolo brandello della preda, dal sangue seccato e maleodorante.
"Già... direi che siamo fortunati", disse il comandante, con un sorriso a quarantadue denti.
"Fortunati? Secondo me,...", iniziai con aria incredula, ma mi fermai.
I miei occhi si erano spostati un paio di metri indietro all'animale, scoprendo un nido con un uovo maculato di azzurro fluorescente.
"Okay", disse Celtus, girandosi per guardarmi, "ora Emily, sai qual'e' il tuo compito. Prendere l'uovo. Prendi quell'unico oggetto ed io t'insegnerò ad usare l'aria! Te lo prometto sopra la testa di Iron III, mio padre."
"Da accordo. Ci proverò e se Wendick mi dovesse attaccare, come posso difendermi?".
"Ricordati tu devi prendere l'uovo quella è l'unica cosa importante", esclamò il piccolo capo, facendomi cenno di andare avanti.
Mi accucciai seguendo un sentiero in quelli che sembravano dei posti a sedere, attorno ad un'arena al centro della quale l'animale dava uno spettacolo raccapricciante e disgustoso.
Spostai delle piante che intralciavano il mio cammino.
Il respiro si era fermato. Giunta sopra alla testa di quella sacra belva, il mio cuore rallentò per dare lo spazio e sfogo al sudore che cominciò ad imbrattare la mia fronte.
Alzai l'attenzione verso Celtus, scoprendolo ad osservarmi con fierezza ed orgoglio.
"Avanti, ora o mai più", pensai tra me.
Scattai avanti in un balzo felino ed aggraziato, cadendo sul dorso piumato e multicolore dell'animale. Non avrei mai pensato di riuscire a fare un'acrobazia del genere nemmeno tra un milione di anni.
Il Wendick al contatto con il mio peso gridò, correndo da una parte e l'altra di quello scavo, battendo la propria schiena addosso alle pareti, cercando di disarcionarmi, per buttarmi a terra.
Probabilmente la sua tattica difensiva prevedeva l'uso delle lunghe zampe, dotate di artigli neri ed affilati.
Sbatte' le lunghe piume nere e bianche, prese la rincorsa.
Cercai di domarlo tirando le piume sul collo, ma il Wendick aveva deciso, catapultandoci in aria come fossimo due proiettili.
Stavamo volando. Riuscivo a vedere l'isola dall'alto e l'immensa zona cristallina che la circondava.
Afferrai la criniera leonina dell'uccello, issandomi sul suo carapace da tartaruga marina. Al contatto con la mia mano sulla sua testa, il Wendick fece una piroetta su se stesso per poi volare ancora in alto, superando le nuvole bianche e grigie fino ad arrivare in una zona in cui non vi era nulla, se non noi due che combattevamo uno contro l'altro.
"Avanti voglio scendere", sibilai, spostando il peso alla mia destra e dando una piccola pressione con le gambe.
L'animale capì l'intenzione scese in picchiata come se non ci fosse una soluzione alternativa, senza freni e senza rallentare la velocità.
La fredda aria mi sfregiava il viso, sentii l'odore di sangue causato da un taglio lungo la mia mascella sinistra.
Scendevamo giù sempre più giù.
Dovevo prendere una decisione, non poteva restare sulla gobba di quell'insieme di bestie. Presi il pugnale dalla tasca posteriore e lo affondai nella testa dura e verdognola della belva.
Sembrava non aver sentito nulla.
Urlò come un bimbetto per poi riprendersi e continuare la caduta libera, lasciandosi guidare dalla forza di gravità di quel mondo, che ci voleva al suo interno.
"Devi planare!", urlai a quella bestia immonda, mentre la roccia si ingrandiva, avvicinandosi a velocità lampo .
L'animale aumentò la rapidità, assumendo una forma completamente aereo dinamica.
Mi preparai mentalmente all'impatto, stavo morendo.
Questa volta non ci sarebbe stato nessun Jason e James a salvarmi.
Mancavano ormai pochi metri quando vidi un albero abbastanza alto con foglie larghe abbastanza da poter sostenere il mio dolce peso.
"Provare per non morire", pensai, sentendo l'adrenalina e la paura scorrere nelle mie vene.
Era l'unica possibilità che avevo per salvarmi la pelle.
Saltai nel vuoto, rimanendo sospesa in aria per un breve minuto, cadendo all'altezza del muso del Wendick.
Quest'ultimo si girò guardandomi con sfida.
"Hai fegato ragazzsina", sibilò una voce nella mia testa, mentre inaspettatamente l'uccello prendeva quota, ammirando la mia caduta su quell'enorme quercia.
Fortunatamente, avevo ragione!
I grandi fogli verdi attutirono la mia discesa, ma non poterono far nulla per le ferite sulle costole e sull'addome.
Mi trovai con il viso schiacciato addosso al suolo polveroso.
Sollevai gli occhi, nello stesso momento in cui il Wendick, atterrava delicatamente dietro le mie spalle.
Sentii i suoi artigli ruspare e correre verso di me.
Animata da una forza segreta e nascosta la mia mano scivolò a recuperare il pugnale ad una paio di centimetri dalla mia mano sinistra e non appena la bestia si avventò sul mio dorso, girai su me stessa, trapassandone la testa ed il cervello.
L'animale sbatté le palpebre, bruciando sotto il dolore di quella ferita mortale.
Non persi tempo corsi ad afferrare l'uovo dalle chiazze blu.
Lo presi con decisone tra le mie braccia sporche di sangue e segnate dalla lotta estenuante contro quella nobile creatura, pronta a sacrificare se stessa per la propria prole.
Mi girai per lanciare l'ultimo sguardo a quella madre devota.
Non se per quale assurdo motivo, ma mi ricordò mio padre.
Come il Wendick, anche lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per me, anche abbandonare le sue spoglie per entrare nel paradiso, o a quello in cui credeva.
Fu naturale, il mio movimento verso il cadavere della creatura con la lingua biforcuta cadente, posta sul lungo becco aperto.

"Oggi siamo entrambi vinti e persi!", sussurrai mentre una lacrima nasceva dal mio cuore.
Nel punto del carapace che cadde quella minuscola macchia di acqua, la bestia cominciò a bruciare per poi diventare polvere.

"Ma come... ".
Vidi solo un piccolo pulcino spelacchiato uscire da quel cumolo di terra odorosa di fumo, perché mi ritrovai ai piedi della fontana, dentro una gabbia di ramoscelli e foglie bianche e verdi.

"Ordine! Ordine!", urlò Celtus, battendo un grosso osso ingiallito, addosso un leggio sospeso sopra al monumento, ora chiuso.
"Cosa, cosa è successo?", chiesi stupita, trattenendo a me l'uovo dalle macchie blu.
Un piccolo bambinetto dalle lunghe ali verdi e i capelli blu, si avvicinò alla mia prigione "prescelta siete colpevole di aver ucciso la sacra bestia, sovrana e custode del mondo dell'aldilà."

"Sì, ma io... "

"Avete infangato il suo sacro paradiso colpendo ripetutamente la divina arena."

"Sì, ma vede... "

"Infine, avete profanato il suo nido rubando l'unico erede del Wendick, incenerendo la madre che non potrà seguire il figlio, il quale è destinato a morte certa?".

"Ecco, io credo di sì.."

La piccola fata, saltellò sul posto per poi avvicinarsi goffamente ad una tribuna sospesa accanto al comandante dove era riunita una sorte di corte.
"Signori ha ammesso tutte le sue colpe a voi la decisione", concluse, per poi tornarsene al suo posto. Passò di fronte la mia galera, mi gettò uno sguardo di odio per poi sedersi accanto ad una Nazima mogia e silenziosa.

"Popolo a voi la decisione!", decretò Celtus senza nemmeno alzare la vista su di me.

Un fracasso di parole si levò dal pubblico, mentre le fatine volavano, litigavano e si ammazzavano.

"Io non volevo che accadesse questo!", urlai sfidando il regnante.

Mi aveva giurato che se lo avessi ascoltato lui avrebbe fatto in maniera di insegnarmi il suo elemento, ma non era così. Quel grande uomo, non era altro che un ipocrita doppio giochista, pronto a sbarazzarsi di coloro che si mostravano interessati ad usare il vento per il bene di quel mondo a cui pure loro appartenevano.

"Bastardo verme schifoso", digrignai fra i denti.

"Uccidiamola!", ruggì una donna dai lunghi capelli viola.

"Impaliamola!".

"Qui si mette male!", esclamai quando due energumeni mi sollevarono di peso dentro a quella gabbia marrone.

Un lampo di genio, nacque dalla tasca dei jeans ancora fradici.
Il sacchettino di terra del mio giardino, ardeva caldo ed incuorante.
Presi il contenuto e lo sbuffai in aria come aveva fatto Jason, molto tempo prima.
La mano di Nazima mi accarezzó attraverso le sbarre prima che cadessi sonoramente sul mio letto.

LOVE CURSEDWhere stories live. Discover now