Margherita.

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L'ala sud di Maison Wood si rivelò staccata dal corpo strutturale della residenza, collegata dal resto del mondo grazie ad un lungo corridoio di vetro, utilizzato come entrata unica in quella campana che accoglieva in se i colori dei fiori del vecchio mondo.

"Mi sembra di essere un criceto da laboratorio con tutti questi passaggi", borbottai, entrando nell'ennesimo tunnel.

"Dai vieni, scommetto che questo posto ti piacerà di più rispetto alla biblioteca", rispose Jason, avanzando con il vassoio in mano con passo veloce davanti a me.

"Non credo!", sbottai sicura.

"Dici?", domandò, per poi aprire il grande portone alla fine della galleria.

" Oh mio Dio", mormorai, alla vista di un arco viola, blu e bianco sopra le nostre teste.

I fiori che lo componevano erano a grappoli e profumavano di un dolce aroma che ti obbligava ad annusarli.

"Quello è glicine", mi spiegò Jason, appoggiando i tramezzini su un tavolo in ferro battuto bianco.

"E' bellissimo", dissi.
Un'ape pigra, attirò la mia attenzione, mentre, svolazzava di bocciolo in bocciolo, finché non cambiò pianta, per posarsi su un'aiuola piena di margherite bianche e di primule colorate.

"Era molto tempo che non entravo qui", commentò il ragazzo, seguendomi verso i fiori in cui stava oziando l'insetto.

"Non so come tu possa non venire spesso ", sfiorai con una mano una primula rossa.

" Queste piante hanno un forte potere, una leggenda dice che se le mangi riesci a vedere una fata o un elemento del mondo segreto della magia",
disse il padroncino della bella dimora, raccogliendo una margherita, " Questo, invece, è simbolo di purezza e semplicità", aggiunse, sistemandola dietro al mio orecchio destro, "Un fiore bello per una perla semplice in mezzo ad una vita di bugie e segreti".

"Bè, direi che siamo qui per questo motivo", aggiunsi, senza interrompere il contatto con quegli occhi bellissimi.

Eravamo veramente vicini.

Avrei potuto contare le lunghe ciglia nera che accarezzavano dolcemente la sua guancia. Si stava avvicinando al mio viso sempre di più. Il suo alito di menta pervase il mio olfatto, mentre istintivamente la mia mano destra era salita, a stringere i suoi capelli per avvicinarlo.

"Perdonami Emy, ... ", sussurrò, prima di appoggiare le sue labbra sulle mie.

Fuoco ed acqua entrarono in collisione dentro me. Un forte sapore di menta e un gusto dolce amaro fecero cantare le mie papille gustative.

Elettricità e furore s' impadronirono del mio corpo; la mia bocca si muoveva, seguendo il profilo della lingua del ragazzo che stavo baciando.

Fin quando, tutto intorno a me sembrò offuscarsi in un secondo come un battito di ali di farfalla; ritrovandomi con un forte mal di testa, sdraiata sul pavimento freddo con Jason accanto a me che mi massaggiava ripetendo, "Stai bene, sei solo scivolata per colpa di una pozza d'acqua".

"Strano non mi ricordo nulla", esclamai cercando di alzarmi delicatamente, "Prima eravamo nello studio che ti scusavi poi mi ritrovo qui in questo posto... Sono le 19.00! Oh mio Dio, non ricordo nulla, come può essere?", urlai, guardando l'orologio al mio polso.

"Emy, non c'è granché da rimembrare. Abbiamo studiato un po' e poi abbiamo pensato di venire qui nella serra per staccare la spina", commentò il ragazzo, sorreggendomi per poi farmi sedere su una sedia bianca davanti ad un tavolo in cui erano scivolati dei sandwich ed un vassoio in argento.

" Ricordo che ti avvicinavi e mi dovevi far vedere una cosa... e poi buio totale"- ripetei cercando di trovare un appiglio dell'ultimo arco di tempo passato con il mio compagno di classe.

Era successo una cosa pressoché impossibile.
Non poteva essere che per colpa di una caduta comune fossi stata privata di una piccola parte della mia vita, nella quale il mio Jason mi chiedeva scusa, mostrandomi un segreto.

"Oh la mia testa", esclamai massaggiandomi le tempie, "E' meglio che chiamo Amelia e che mi faccia portare a casa...".

"Certo, tieni il mio telefono", disse il mio salvatore, passandomi il suo cellulare all'ultimo grido, "Intanto, vado a prendere un po' di ghiaccio per il meraviglioso bernoccolo che ti è venuto fuori", continuò, accarezzandomi un rigonfiamento sulla parte destra del mio capo.
"Magnifico, mancava un bellissimo ematoma sulla mia testa per rendermi unica", sussurrai, digitando il numero sulla tastiera.
"Emy, tutto bene?", rispose Amelia, dopo un solo squillo.
"Sì, riesci a venire a prendermi?".
"Certamente, ma stai bene? Hai la voce strana".
"Insomma, diciamo che potrei stare meglio", sbottai.
Jason rientrò in serra con un sacchetto di nailon pieno di ghiaccio tritato.
"Brucia, brucia", boccheggiai, quando il freddo andò a placare il pulsare della mia ferita.
"Cos'è che brucia?", urlò dall'altro capo con voce agitata la mia adorata tata.
"Niente, sono solo caduta ed ho preso un colpo in testa... ".
"Cosa? Stai scherzando?", gridò Amelia, "Ti vengo subito a prendere ed andiamo all'ospedale!".
"Forse sarebbe meglio anche perché non ricordo nulla delle ultime ore che ho trascorso qui", spiegai, guardando negli occhi il mio compagno di classe in piedi di fronte a me.
"Addirittura amnesia? Stai scherzando?".
Oramai, l'urgano Amelia era partita in quarta e nessuno poteva più fermarla.
"Dove hai detto di essere?", chiese bruscamente, dopo aver preso fiato dalla lunga ramanzina.
"Siamo al numero 666 di Nw Armr Street", risposi.
"Dieci minuti e sono lì. Spero che il tuo amico Jason abbia un buon avvocato",
riattaccò senza aggiungere un'ulteriore parola.


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