Capitolo 42 - Francesca's pov

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Mi rifugiai in camera dopo aver parlato con la mia coinquilina, non volendo accettare la realtà. Mi diedi alcuni pizzicotti nel vano tentativo di svegliarmi da un possibile incubo ma non fu così: era il mondo reale, ma la mia mente rifiutava di accettarlo.

Mi sdraiai sul letto. Non sentivo più rabbia, non ero dispiaciuta, non ero triste, non piangevo, ero apatica, non sentivo nulla, niente di niente.

Chiusi gli occhi e mi feci accogliere da Morfeo sebbene fossero solo le tre del pomeriggio. Mi svegliai due ore più tardi, sudata e agitata, mi passai una mano tra i capelli e sentii un forte bruciore di stomaco causato dall'ira che stava rinascendo in me. Dovevo parlargli. Dovevo capire.

Mi cambiai rapidamente facendomi una doccia veloce, e dopo aver lasciato un bigliettino a Caterina, la quale non era presente in casa perché era andata a fare la spesa, mi diressi fuori.

Pioveva, la solita pioggia estiva, ma non me ne importai. Mi tirai su il cappuccio, corsi verso la fermata del pullman e dopo poche fermate arrivai davanti al portone di quella casa in cui ero stata molte volte e in cui avevo trascorso pomeriggi stupendi.

Il portone era già aperto, così andai dritta verso il terzo piano senza prendere nemmeno l'ascensore. La porta di legno di ciliegio che si prospettava di fronte a me era imponente, ma nulla mi incuteva più paura del perdere una persona per la quale stavo nutrendo qualcosa che stava diventando forte e dirompente.

Suonai il campanello, dopo aver tentennato svariate volte prima di premere quel maledetto pulsante. Poco dopo la porta si aprì rivelando un Ignazio in tenuta da casa e mi mancò il respiro, era perfetto.

«Fra! Ehilà, come va? Prego, entra.»

Sorrisi forzatamente entrando e togliendomi il giubbino, appoggiandolo sull'appendiabiti seguito dalla borsa.

«Potrebbe andare meglio. Tu? Tutto bene?» Marcai notevolmente la prima parte del discorso e lui mi si avvicinò, incatenando i suoi occhi nei miei.

«Tutto bene, grazie, sono solo un po' stanco. Posso sapere come mai non...»

Lo interruppi, spingendolo delicatamente. «Niente di importante.»

Ignazio mi fermò dal braccio e mi girò con delicatezza verso il suo corpo, facendomi scontrare con il suo petto.

«Ti puoi fidare di me, Francesca.» Eravamo a pochi centimetri di distanza e sentii le gambe cedermi. Sbuffai, spingendolo di nuovo.

«Non è nulla di importante, ripeto.» Espirai, avanzando di pochi metri verso il salone.

«Se non è nulla di importante, allora perché hai così tanto timore di dirmelo?»

Cocciuto, troppo testardo.

«Non ho paura di dirtelo, solo che non... Maledizione...» Sbattei una mano contro il muro, reprimendo delle lacrime già pronte a percorrere le mie guance rese rosee dal blush.

«Ma si può sapere cosa ti prende? È successo qualcosa di grave? Qualcuno ti sta minacciando? Posso aiutarti in qualche modo?» Sparò domande a raffica, incasinandomi la mente già confusa ed instabile.

«Sì, Ignazio, sì.»

Lui arricciò il naso, facendo assumere alla faccia una smorfia.

«Sì, cosa?» domandò di rimando.

«È successa una cosa non grave, gravissima. E non c'è niente che tu possa fare per rimediare al mio cuore infranto, distrutto dallo sdegno, dalla voglia di prendere a pugni quella persona che si è sempre dimostrata falsa ed ipocrita. Ha mentito a tutti, non solo a me. E non è l'unico, ma anche i suoi due amici, i quali mi sembravano l'emblema dell'umiltà, della modestia, dell'onestà, e invece si sono dimostrati persone orribili dalle quali è meglio stare alla larga.» Finii il mio monologo e gli occhi di Ignazio rimasero fissi nei miei che bruciavano di rabbia e delusione.

In questo mondo di ladriМесто, где живут истории. Откройте их для себя