Capitolo 31 - Marco's pov

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Era la seconda volta in un giorno che finivo alla stazione di polizia. Dovrebbe essere considerato un record per un civile onesto come me.

Dopo la colazione al bar io e Venditti eravamo tornati a lavoro, e mi ero premurato di mandare Lorenzo a casa a recuperare le ore di sonno perse a causa mia. Non era passata un'ora dalla pausa pranzo che di nuovo Venditti era venuto a cercarmi, raccontandomi la telefonata che aveva ricevuto poco prima dal commissario Ghisoni, colui cui ci eravamo rivolti quella stessa mattina.

«Sinceramente non ho capito in che modo intenda darci una mano, ma questo è quello che ha detto e io gli darei una chance.»

Così ci ritrovammo nuovamente nell'ufficio del commissario pochi minuti dopo, ad ascoltare l'offerta che aveva accennato a Venditti per telefono.

«La vostra vicenda mi ha incuriosito parecchio, per cui ho dato un'occhiata al vostro caso e ho scoperto che inizialmente eravamo noi a gestirlo...»

«È così» lo interruppe il mio capo. «Ma la cosa stava prendendo troppo tempo, come di frequente succede in questo paese, per cui ho deciso di prendere in mano la situazione e rivolgermi a un... beh... non proprio professionista, eh?» Sorrise amaramente. «Spero che non me ne voglia comunque, non volevo offendere il vostro servizio in nessun modo.»

L'imbarazzo del tenente nel sentire tali scuse era alquanto palese, tuttavia si riprese subito, probabilmente con il pensiero di quello che stava per dire. Non appena lo espresse, mi sembrò infatti avere tutta l'aria di un riscatto personale.

«Mi dispiace per la negligenza mostrata nei confronti di questo caso, signor Venditti. Per rimediare e nella speranza che non sia troppo tardi, le propongo di permetterci di riaprire il caso e di affidarlo a uno dei nostri detective. Si comporterà come un investigatore privato, solo che questo qui è onesto e pulito!» concluse con una risata, forse con l'intenzione di alleggerire la tensione nata dal discorso che avevamo avuto quella mattina su una situazione così seria come quella di Giacchetti, che ancora aleggiava nei nostri sguardi complici di pesanti accuse.

Ci lasciammo trasportare dal suo tono scherzoso, lasciando che il vento di una risata spazzasse via l'imbarazzo del momento.

«Certamente commissario, avevo intenzione di ingaggiarne un altro ma se ci pensa lei mi fa ancora più piacere» rispose Venditti, la risata che non aveva ancora lasciato del tutto la sua voce.

«Eccellente! Allora lo mando a chiamare. Agente, mi chiami il detective Rapposelli, dovrebbe essere nel suo ufficio.»

Aspettammo l'arrivo di questo fantomatico investigatore in un silenzio confortevole, in cui mi presi del tempo per guardarmi attorno. Gli uffici erano più che altro delle cabine limitate da pareti trasparenti, che lasciavano passare senza opporsi lo sguardo curioso dell'osservatore. Spostai i miei occhi da una cabina all'altra, da un poliziotto indaffarato a un altro, fino a lasciarli posare su una figura familiare in uno degli uffici.

Era seduto rigido e fiero sulla sedia spartana, i polsi circondati da un paio di manette portavano a due pugni fortemente serrati adagiati su uno squallido tavolo di ferro. L'intensità del mio sguardo agì forse da calamita, perché Giacchetti si girò verso di me e mi inchiodò con i suoi occhi che avevano assunto una sfumatura quasi selvaggia, oltre che disperata. Del resto avrebbe passato un bel po' di tempo in una lurida prigione. Ma l'aveva evitata per fin troppo tempo.

C'è chi lo chiama karma. Io lo chiamavo vittoria.

Speravo che questo messaggio gli arrivasse chiaro e tondo attraverso il mio sorrisetto trionfante. Uno sputo sul vetro dell'ufficio in cui era seduto mi confermò che sì, era decisamente arrivato. La sua reazione mi fece ridere di gusto.

In questo mondo di ladriМесто, где живут истории. Откройте их для себя