Capitolo 26 - Marco's pov

132 27 2
                                    

Mi ero dato alla fuga il prima possibile.

Da qualche giorno non facevo altro che trascorrere le mie giornate lavorative come se fossi il fantasma di me stesso. Andavo avanti per inerzia, trascinandomi da un compito all'altro e concedendo nient'altro che sorrisi forzati ai miei sottoposti. Era sempre più difficile mantenere la maschera dell'Impiegato Felice: più tempo trascorreva, più la cordicella che me la teneva attaccata al viso si allentava. Avevo paura che prima o poi scivolasse via.

Ogni sera tornavo a casa più stremato della sera precedente, con le guance sofferenti per aver sostenuto sorrisi che non mi era mai pesato fare prima.

Come se non bastasse, adesso avevo immischiato anche Lorenzino in questa storia. Sapevo che non era il caso di aggiungere altro carico ai problemi che aveva sulle spalle, eppure non avevo potuto fare a meno di rivolgermi a lui per risolvere l'enorme casino in cui ero coinvolto.

Era un informatico formidabile, non avevo mai conosciuto uno più portato di lui per la tecnologia. Mettere in mezzo qualcun altro non sarebbe stato l'ideale, avrei dovuto pagarlo chissà quanto per i suoi servizi e per il suo silenzio.

Eppure mi sentivo così in colpa quando, alzandomi al mattino, potevo scorgere dalla porta socchiusa della sua camera la testa di Lorenzo abbandonata sulla tastiera, la luce del computer ancora acceso a infondere un colore azzurrognolo ai suoi capelli. Tra lo studio per l'università, la storia con Francesca e queste ultime "indagini" molto amatoriali, aveva ben poco tempo per chiudere occhio anche solo per un istante.

Finalmente giunto sulla soglia di casa, non avevo avuto il tempo di chiudere la porta alle mie spalle che mi ero sentito chiamare con urgenza.

«Marco, Marco!» Mio cugino si era precipitato nell'ingresso di casa dove mi trovavo, pronunciando con foga il mio nome.

«Quando mi hai chiesto di indagare su quel tizio perché pensavi che fosse un criminale, ho creduto che avessi perso la testa. Ma non sei matto, sei un fottuto genio!»

La sua voce vibrava di entusiasmo (allarme forse?), i suoi occhi febbrili rincorrevano freneticamente i miei, le mani gesticolavano a destra e a manca per enfatizzare la sua affermazione. Eppure era stanco, così stanco. Lo potevo vedere dalle occhiaie violacee sotto gli occhi blu, e dal modo in cui i suoi arti compivano gesti a scatti, come succede quando passa troppo tempo dall'ultima volta che ci si è sgranchiti. Si può essere così attivi e stanchi al tempo stesso?

«Ho trovato il modo per incastrarlo.» Il suo tono definitivo e le parole che sognavo di sentire da un po' mi avevano riportato alla realtà.

«Ma io ti amo.» Gli dissi col trasporto del momento.

«Grazie per l'offerta ma non sono per l'incesto!»

Mi trascinò davanti al suo computer, facendomi bruscamente sedere sulla poltrona girevole e mettendosi alle mie spalle, chinato su di me quanto bastava per tenere d'occhio lo schermo.

Di tutto il blaterare che seguì, ricordo poco e niente dato che non capivo assolutamente niente dei termini tecnici che usava Lorenzo. Comunque il succo del discorso era che aveva trovato finalmente delle prove che incriminassero Giacchetti, e non potevo chiedere di meglio.

«Ok, devo dirti che pensavo che fossi pazzo ed ero a tanto così da chiamare il manicomio, e più mi costringevo a continuare a cercare più, non trovando niente, me ne convincevo... Ma!» Pausa di effetto. Adorava essere melodrammatico. Tutto suo cugino. «Finalmente ho avuto l'illuminazione e ho trovato la chiave per la Camera dei Segreti.»

«Sì ma arriva al dunque.»

«Dopo tutte le notti insonni passate a sgobbare su questa storia, devi almeno concedermi questo momento di gloria. A proposito, mi devi un grooooosso favore.»

In questo mondo di ladriWhere stories live. Discover now