∁ᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 29

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Canzone: Hope in front of me di Danny Gokey
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Taylor

Lunedì sera, quando Taylor era rientrata a casa, aveva trovato i suoi genitori ad aspettarla.
Avevano impiegato un'oretta buona per rimproverarla del fatto che non fosse andata a scuola quella mattina, ma a lei non importava. Non le importava quanto ora si impegnassero per occuparsi di lei.
Non li avrebbe perdonati fin quando non fossero arrivati a strapparsi i capelli e a inginocchiarsi per chiederle perdono per tutti quegli anni in cui le avevano fatto mancare una famiglia.
Il giovedì, Harvey la chiamò a casa sua - quindi anche quel giorno saltò la scuola - e Taylor pensò di poter finalmente andare in cerca delle prove che lo inchiodassero come assassino nel caso di Benji, che andava avanti da ormai sette anni.
Non importava tanto dei suoi complici, Taylor era sicura facessero parte dei Keep In Mind e prima o poi i loro nomi sarebbero saltati fuori.

Bussò al portone del suo garage e quello, dopo un cigolio di metallo, cominciò ad aprirsi. Non ci fu chi si aspettava di trovare dall'altra parte.
Aaron, vestito con un jeans e una felpa nera, la salutò con uno sguardo e solo dopo aver visto Harvey alle sue spalle, capì che non poteva avvicinarsi.
Era come se fosse di sua proprietà adesso e non le fosse concesso avvicinarsi a qualcuno che non fosse Harvey.

Aaron. Ripeté il suo nome nella mente come a sperare di creare un qualche legame telepatico con il ragazzo.
Lui continuò a farle segno con gli occhi di andarsene, ma Taylor scosse la testa e cercò di trasferirgli un altro pensiero, pur essendo consapevole che era un gesto vano.

Prima devo trovare le prove che incastrino Harvey. Pensò, poi si accarezzò le braccia con entrambe le mani, come si fa quando si ha freddo, sapendo che Aaron avrebbe colto il significato del gesto.
Glielo aveva rivelato una volta in cui aveva iniziato a parlare dei vecchi tempi con Cloe, quando l'amica si era fissata con il linguaggio del corpo.
Significava "Starò bene" ed era il primo di una lunga serie di gesti che lei e Cloe avevano inventato e che usavano per comunicare senza che nessuno potesse capirle.
Allora Aaron fece un breve cenno del capo e andò via.
Al piano di sopra, nel salotto, Harvey aveva permesso alla crew di portare dentro gli skate e ora i tavoli, i mobili o qualunque altro oggetto solido, era diventato una superficie perfetta su cui far scorrere le rotelle dello skateboard.

Taylor, un po' spaesata dal chiasso e dall'odore di erba che appesantiva l'aria, andò a sedersi sul bracciolo di uno dei due divani in pelle. Casa Reyes era bellissima, piena di oggetti costosi che, presi singolarmente, avevano lo stesso valore dell'intera casa di Taylor.
Il salone era grande almeno quanto la palestra della scuola, con un televisore al plasma appeso al muro e l'ultimo modello della playstation su un comò. Il tavolo da pranzo era in resina e il tappeto, persiano.
I signori Reyes dovevano aver speso una fortuna per quella casa.

«Noi andiamo su.» le intimò Harvey non appena posò il sedere sul morbido divano.

Lei protestò un po', aveva cercato di tenerlo alla larga in quei due giorni, ma alla fine fu costretta a seguirlo su per le scale. Voleva almeno risparmiarsi la vergogna di essere trascinata con la forza.
La camera di Harvey era proprio di fronte alle scale, la trascinò dentro tirandola per un braccio, poi chiuse la porta.
Taylor fu invasa da un'ondata di panico che le fece venire la nausea.
Harvey cominciò a baciarla con frenesia, le mani sul collo di lei, la spinse verso di se.

«Harvey...» ansimò lei quando la ebbe liberata dal bacio per spostare le sue labbra sulla mandibola e poi sulla giugulare. «questo non faceva parte dell'accordo.»

«Non mi importa dell'accordo.» Taylor fu spinta sul letto, le mani legate da quelle di Harvey sulla testa. «Jamie si è preso mia sorella, io prenderò te a lui.» 

Baby, you are my troubleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora