∁ᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 28

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«Okay biondo ossigenato, se mai vorremmo sapere qualche altro particolare della tua vita da fighetto te lo chiederemo. Adesso puoi farci la cortesia di chiamare Jordan? Siamo di fretta.»

«Scusalo,» si dispiacque Aaron grattandosi il capo. «diventa aggressivo quando non mangia.»

Ash fece una risata a quel commento e Jamie lo trovò fastidioso.
Chi si credeva di essere? La versione maschile di Paris Hilton? (O Paris Hilton stessa!)

Dopo che il ragazzo fu uscito, sia Jamie che Aaron si sedettero, in attesa. A Jamie faceva male la schiena dopo la scorsa notte, in cui era stato costretto a dormire sul pavimento della camera di Taylor sopra quattro strati di coperte arrangiati a materassi.
Strisciò un po' più in basso sullo schienale della poltrona, poi distese le gambe e incrociò le mani sul ventre.

Inspirò, forse troppo rumorosamente.

«Non credo tu stia prendendo sul serio questa situazione.» commentò Aaron con lo sguardo che vagava nella stanza. «Ti sei arreso?» chiese con la delusione nella voce.

Jamie chiuse gli occhi, il viso rivolto al soffitto. «No, penso solo che tutto questo sia una perdita di tempo. Se lo sbirro non ha voluto parlarne a Taylor, di certo non lo farà con me.»

C'era un meccanismo difensivo che Jamie usava per impedire che venisse ferito. Ed era non avere aspettative. Aspettative era uguale a illusione e illusione era uguale a fregato.
L'equazione era semplice e bastava davvero poco per metterla in pratica.

Qualche minuto dopo, Ash tornò accompagnato da un uomo che Jamie faticò a riconoscere. Lo aveva visto poche altre volte dalla notte dell'omicidio del fratello e sebbene i suoi occhi blu e la mandibola squadrata fossero gli stessi di una volta, alcuni tratti del viso erano mutati.

«Ti ho procurato delle ciambelle, poi non dire che sono scortese.»

«Ci hai sputato sopra?»

«Forse.» scherzò Ash, ma Jamie abbandonò comunque la scatola sulla scrivania.

«In cosa posso aiutarvi ragazzi?» Jordan fece un sorriso contenuto e strinse la mano a Jamie e ad Aaron che si erano alzati in piedi.

Un dubbio si insinuò come un serpente nella mente del ragazzo con il piercing.
Ricordava chi fosse? Lo aveva riconosciuto o faceva finta di non sapere?

«Le spiace se vado dritto al sodo?» volle sapere.

Parrish scosse la testa disorientato, sembrava sommerso da una nuvola di pensieri. «Certo che no.» disse piatto.

«Ho bisogno che mi dica tutto quello che sa su mio fratello, Benjamin Anderson, ucciso sette anni fa da una banda di ragazzi. So che sa qualcosa, una ragazza di nome Taylor è venuta a parlarle qualche giorno fa e non ha voluto dirle niente, ma ora ho bisogno che lo dica a me.» lo pregò.

Jordan si voltò dandogli le spalle, lo sguardo che scorreva su tutto il pavimento. «Mi spiace, ma come ho detto con la ragazza, non posso dire niente.»

«Perché quella notte mi ha fatto scappare dalla scena del crimine dicendomi che era meglio non essere coinvolto?» insisté abbassando la voce. Gli occhi di Jamie erano fissi su quelli dell'agente ed erano insistenti, tanto che Jordan non riuscì più a distogliere lo sguardo.

L'uomo scosse la testa.

«La prego, potrei ricattarla se volessi, potrei andare dallo sceriffo Hamada e dirgli  che lei ha falsificato la dichiarazione ufficiale dell'omicidio di Benji, ma non vorrei doverlo fare.» disse senza scomporsi.

«Be' dovrai farlo invece, perché non dirò niente.» concluse Jordan andando ad aprire la porta dell'ufficio, segno che la conversazione finiva li.

Baby, you are my troubleWhere stories live. Discover now