∁ᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ 3

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Era destino che stesse con uno dei due?

Taylor chiuse l'acqua e uscì dalla doccia furente di rabbia e senza alcun motivo. Si avvolse nell'asciugamano come un involtino e afferrò il braccialetto stringendolo nel pugno.
Raggiunta la sua stanza, lo gettò nel cestino accanto alla scrivania.

Fanculo il destino! Si disse. Non può controllare la mia vita, nessuno può.

Mentre si vestiva, cercò di convincersi che non era stato il destino a farli incontrare e alla fine ci riuscì.
Si stese sul letto, le gambe intorpidite per la stanchezza. Sprimacciò il cuscino con le mani e infine vi affondò la testa.
Svuotò la mente, così che le voci sovrapposte dei pensieri cessassero e intorno a lei rimanesse solo il sussurro del silenzio.

***

Primo giorno di scuola. Taylor pregò perché nel resto della giornata andasse tutto liscio.
La mattina era iniziata piuttosto male, con lei che si era dovuta alzare all'alba per lavare i vestiti sporchi di sangue che aveva dimenticato nel lavandino, ed era continuata con i suoi genitori che la accompagnavano a scuola come se avesse avuto bisogno della tata per non perdersi. Ed era andata persino peggio quando, insieme a lei e alla sorella, avevano salito parte della scalinata che portava all'ingresso dell'istituto.
Ovviamente le oche della ex classe di Taylor, non avevano perso l'occasione di fare battutine su quanto lei fosse piccola e su quanto avesse bisogno della presenza di mamma e papà. Nessuna delle due cose era vera però, lei non era più una bambina, era all'ultimo anno di liceo e non aveva bisogno dei suoi.
Comunque anche se ne avesse avuto bisogno, non ci sarebbero stati, perché il lavoro era la loro unica famiglia.

Taylor, esasperata, tentò una fuga disperata tra un gruppo di studenti e l'altro.
Quando fu lontana da loro, sospirò seccata e cercò di non pensare al fatto che li avrebbe avuti di fronte per tutto l'anno scolastico.
Alla sorella, Eve, non sembravano creare problemi.

Taylor si sedette sui gradini ai piedi della scalinata e si guardò i piedi.

«Dove sei Cloe?» biascicò già stufa della scuola e posò i gomiti sulle ginocchia nude.

La aspettò seduta li, mentre un'orda di studenti le passava accanto, finché non suonò la campanella e decise di avviarsi.

Aaron

Distese le gambe sul selciato grigio per poi stirare le braccia sulla testa. Era stanco dopo la notte scorsa passata a fumare e skeitare con Jamie e i ragazzi. Quella mattina non aveva preso in mano neanche un sigaretta, il solo pensiero lo disgustava.

Udì la campanella suonare, proprio sopra la sua testa e soffiò irritato quando, dopo dieci secondi, ancora non si era fermata. Rimbombava violentemente nella sua testa come le campane di un campanile.

Affianco a sé, vide Jamie con le mani a coppa sulle orecchie e non poté fare a meno di ridere davanti alla sua espressione corrucciata.

«Che ti ridi?» disse l'amico sferrandogli un colpo di gomito nel fianco.

Aaron si lamentò, ma non sentì dolore. Poi, non appena la campanella si ammutolì, si rilassò contro al muro.

«Aaron!» Jamie lo chiamò punzecchiandolo ad una spalla. «Guarda là.» E indicò qualcosa, o meglio qualcuno lungo le scale.

Aaron seguì la traiettoria del suo sguardo fino a raggiungere l'oggetto d'interesse di Jamie.
Una ragazza, tanto per cambiare. La guardò meglio e la riconobbe come la ragazza che la scorsa notte avevano salvato da quel tizio.
Li aveva quasi raggiunti, ma non sembrò averli notati.
Indossava un paio di shorts strappati e una canottiera da basket bianca e rosa. Aaron si ritrovò a fissarla con un esasperante interesse. Era davvero bella alla luce del sole, con i capelli sciolti che rilucevano e il viso rosato che le dava l'aria di bambina.
Non era la solita ragazza che incontrava quando usciva con la sua compagnia. E non era neanche la solita brava ragazza che si incontra a scuola.
Per quanto ci provò, non riuscì a classificarla.

Baby, you are my troubleWhere stories live. Discover now