Capitolo 47. Ryss

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Le settimane successive non sono facili. Gerard è il primo a chiamare; ha fatto le sue condoglianze e anche Asher e gli altri Detonators si sono uniti. Quando andiamo fuori, al supermercato o da qualche altra parte, c'è sempre qualcuno che ancora non gliele ha fatte; alla fine Bodie ha smesso di uscire e la spesa vado a farla io, perché credo che non voglia sentirsi ricordare che suo padre è morto ogni volta che mette piede fuori di casa.

Ha cominciato a bere. Non so perché, ma l'ha presa peggio di tutta la sua famiglia. Credo che si senta in qualche modo responsabile, non della sua morte, ma del fatto che l'ultima volta che hanno parlato hanno litigato e lui se n'è andato di casa. Era da tempo che diceva di voler fare pace, ma non aveva mai avuto il coraggio di alzare il telefono o tornare a casa per parlare con suo padre. E adesso soffre per questo. Onestamente, cerco di dargli tutto l'aiuto che posso, ma le sempre più frequenti bottiglie di birra – e le sporadiche bottiglie di Whisky – sul bancone della cucina mi mettono di cattivo umore.

Anche oggi Bodie ha bevuto, sento l'odore appena mi sveglio. È seduto in cucina, fissa il bicchiere di Whisky con il mento appoggiato sul bordo del tavolo. Credo che l'alcol lo aiuti ad annegare il dolore, ma mi chiedo chi gliene venda in quantità così grandi, perché lui è ancora minorenne e prima dei ventun anni non si può bere. Probabilmente il ragazzo della San Christopher che procura a tutti l'erba.

«Buongiorno» dico, dando un'occhiata in cucina in cerca della bottiglia da cui ha preso quel Whisky.

«Ciao Ryss» risponde con un'aria sconsolata. Mi ricorda mio padre, ovviamente. Gli alcolizzati sono tutti uguali. Gli prendo via il bicchiere, perché se con mio padre non potevo dire niente, con Bodie invece posso, e lui protesta all'istante. «Dai, riportalo qua!»

«Sono le nove e mezza di mattina, Bodie» gli faccio notare, dando un colpetto all'orologio del forno. «Hai mangiato almeno?»

Non risponde, così gli sbatto sul tavolo un piatto di biscotti. Il rumore lo fa sobbalzare.

«Sei già ubriaco».

Lui appoggia la guancia al tavolo, senza toccare i biscotti, e mormora un silenzioso "mi dispiace". Un po' mi pento di averlo rimproverato, ma non può andare avanti così. Sono due settimane che continua a bere e a guardare la tv, mangiando un po' quando non si è affogato nell'alcol. Capisco che suo padre è morto, ma non si può ridurre così.

Gli poso le mani sulle spalle e gli do una stretta, come per scusarmi. «Hai dormito?» chiedo. Conosco già la risposta, perché dormendo nello stesso letto so bene che si è girato e rigirato per gran parte della notte. Dorme molto poco, ultimamente, oppure troppo a lungo, fino alle tre di pomeriggio. In quei giorni cerco di lasciarlo stare; ogni tanto vado a trovare mio padre oppure esco con Seth e Maxine, e quando torno le tapparelle sono ancora giù, il caffè che ho lasciato la mattina è freddo e Bodie è ancora a letto. Sul comodino tiene un libro, Gentle and lowly, the heart of Christ for Sinners and Sufferers, ma non lo legge.

«Poco» risponde. «Ryss, mi dispiace se...» si impappina, la voce impastata dall'alcol che mi ricorda tanto quella di mio padre. Un brivido mi passa per la schiena.

«Non ti preoccupare» scuoto la testa. «Però dovresti provare a dormire».

Si alza, traballante, e mi segue. Dopo averlo messo a letto come un bambino – un bambino ubriaco – faccio sparire la bottiglia. Quando la tocco, quando la prendo per il collo e la sposto, ho di nuovo quindici anni, sono di nuovo a casa mia, con mio padre ubriaco in salotto; sto di nuovo portando via le sue bottiglie, sento la sua voce che mi chiama. "Riporta qui la bottiglia, testa di cazzo".

Metto la bottiglia abbastanza in alto perché a Bodie passi la voglia di prenderla, poi mi vesto e gli dico che sto uscendo, ma lui mi risponde a malapena. Quando mi chiudo la porta alle spalle, mi sembra di poter finalmente tirare il fiato. La mia mente torna ad un momento della nostra vita in cui eravamo felici. Anche se ai tempi sembrava una cosa impossibile, adesso mi mancano le superiori; mi manca la semplicità delle nostre giornate, mi manca preoccuparmi solo dei compiti, mi manca il Bodie Watkins che mi sorprendeva la mattina in corridoio con un sorriso largo due chilometri e mezzo e parole allegre e speranzose sul futuro. Non posso dargli la colpa per come sta ora, poveretto, ma posso comunque rimpiangere il passato ogni tanto, no?

All That ShinesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora