Capitolo 24. Bodie

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«Buona la pizza?» chiedo, tornando a sedermi. Quando apro il cartone, la mia pizza odora di buono e mi mette fame. Ma la birra è anche meglio. In realtà no, fa schifo, però ha il gusto di trasgressione e io mi fido del Signore: se mi ha assegnato ai miei genitori, vorrà dire che mi possono sopportare. E allora che mi sopportino con tutti i casini annessi.

«Sì, non è male» annuisce. «Stai bene, Bodie?»

La sua domanda mi coglie di sorpresa, ma non abbastanza da farmi rimanere senza un sorriso finto e una risposta pronta. «Sì, certo. Perché?»

«Non stai bene» mi guarda negli occhi e non me la sento di dirgli una bugia.

«Non è niente» mi lascio sprofondare nei cuscini del divano. «Stamattina ho sentito i miei litigare. Ad un certo punto hanno cominciato a parlare di me e... Beh,» alzo le spalle. «Ho scoperto che i miei genitori pensano che io sia un disastro totale. Sono un casino, una disgrazia mandata da Dio»

«Non credo che lo pensino davvero» scuote la testa. «Forse sono solo un po' frustrati e gli è uscita male. Alle persone capita di dire cose sbagliate, cose che non pensano»

«Oh, sì che lo pensano» mi ficco in bocca mezza fetta di pizza e il formaggio mi si scioglie sul palato. «Loro mi detestano. Mio padre, lo sapevo già, ma mia madre...» penso di nuovo a quando sedevo sul pavimento, ai piedi del pianoforte, e lei suonava e cantava con me; non credo che mi odiasse a quel tempo. «Da lei non... Non lo so. Mi ha sempre difeso, quando mio padre mi rimprovera è quasi sempre dalla mia parte. Non credevo pensasse che sono una disgrazia»

«Non ti detestano, Bodie» scuote la testa e mi sembra estremamente serio, anche troppo. «Sono sicuro che non sappiano... Cosa fare con te. Tu sei speciale»

«Io sono complesso,» rispondo. «Come ha detto mia madre. Una delusione continua, come ha detto mio padre»

«Dio, i tuoi genitori sono degli stronzi» il modo in cui lo dice e in cui il suo volto si colora appena di rosso per la cattiveria che ha detto mi fanno sorridere.

«Vero. Mi odiano. Ma posso capire, pure io mi detesto alle volte» dirlo ad alta voce lo fa suonare più reale di quello che sembrava nella mia testa. «Non so come tu faccia a sopportarmi, messo così»

«Che intendi dire?»

Intendo dire che, anche se odio ammetterlo, è vero quello che pensano i miei. Io sono un casino. Vivo in una famiglia che sembra uscita dalla foto perfetta, in una casa perfetta, e l'unica cosa fuori posto sono io. Sono sempre sorridente a scuola, con tutti, mi impegno per essere sempre disponibile e positivo, ma la verità è che il mio carattere è una merda. Sono logorroico, antipatico, impulsivo, ho la bocca troppo grande e la lingua troppo lunga, non sto mai zitto e dico sempre la cosa sbagliata. Ho avuto tanti amici, per tutta la vita, ma dopo un po' mi hanno abbandonato tutti. A lungo andare, nessuno mi sopporta.

Non so come spiegarglielo, non so come dirgli che so già che in sei mesi, un anno, due se mi va bene, lui si stancherà di me, non ne potrà più e mi lascerà da solo come tutte le altre persone della mia vita.

«Io non mi adoro, Ryss» sospiro e sento che mi trema la voce e che il suo sguardo si fa più pesante. «E non so come faccia tu a sopportarmi. Cioè, io devo sopportare me stesso tutto il giorno, tutti i giorni, so quanto è difficile»

Ryss mi sta a guardare per un momento, poi mi attira rapidamente in un abbraccio, uno di quelli scomodi, seduti uno di fronte all'altro a gambe incrociate. «Io ti adoro» dice. «Sei la mia persona preferita»

Sorrido contro la sua spalla. «Se lo dici tu».

Rimaniamo in silenzio per un po', riprendendo a mangiare. «Ma ti rendi conto,» chiedo, finendo la terzultima fetta della mia pizza. «Che è il mio diciottesimo e io sono a casa sul divano»

All That ShinesWhere stories live. Discover now