Capitolo 11. Bodie

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Torno a casa il più lentamente possibile, ma non c'è molto che possa fare per rallentare l'autobus.

Devo ammettere che uscire di nascosto il primo giorno dopo una litigata non è stata una grande idea, ma ormai quel che è fatto è fatto, è inutile stare a rimuginarci.

Stamattina non ci siamo rivolti nemmeno la parola, io e miei genitori. Elias e Delilah, immagino per paura di sembrare schierati dalla mia parte, sono stati zitti tutto il tempo, aprendo la bocca solo quando veniva rivolta loro una domanda diretta. Oggi il Signor Wasser, l'organista della San Christopher, stava bene, così a me è toccato sedere con la mia famiglia invece che suonare.

L'unica cosa positiva è che mio padre stasera è a una riunione con il Pastore Graham e gli altri fedeli che gestiscono l'organizzazione dei battesimi di questo mese, quindi non mi vedrà strisciare in casa in punta di piedi pregando che nessuno si sia accorto della mia assenza. È divertente, perché se a scuola sono così invisibile, in casa mia mi sembra di avere una spia lampeggiante attaccata sulla schiena.

Entro e mi chiudo la porta dietro le spalle il più delicatamente possibile. Sarei dovuto entrare dalla finestra, ma oggi è troppo umido e bagnato per arrampicarsi sull'albero. Succede una volta su un milione, di avere un albero accanto alla finestra come nei film, eppure non posso usarlo quando mi serve!

Il corridoio però è libero, quindi penso che potrei...

«Bodie?» la voce di mia madre manda in frantumi tutto quello che stavo pensando, come un proiettile che colpisce un vetro. Ero quasi alle scale.

Mi volto. Lei è in piedi sulla soglia della cucina e mi guarda come se sapesse tutto, che sono uscito, dove sono andato, perché l'ho fatto.

Io le somiglio. È un pensiero strano da fare in questo momento, ma è così, io le somiglio. Le somiglio più di tutti, in questa casa, non solo perché Dio ha passato da lei a me l'amore per la musica, ma anche per quello che ha fatto la genetica. La bocca, il colore degli occhi, i nostri capelli, i nostri fianchi, sono uguali. È come una me al femminile, di poco più di quarant'anni, oppure sono io un lei al maschile, di quasi diciotto. Ha i capelli liberi sulle spalle; di solito li porta in una treccia, è insolito che li lasci slegati. Elias e Delilah sono fuori stasera, ad un gruppo universitario di interpretazione biblica, credo; siamo solo io e lei.

Non ci siamo detti nemmeno una parola da ieri sera, che significa per quasi ventiquattro ore perché ormai fuori sta facendo buio e presto sarà ora di cena. Passando, ho visto solo due piatti in cucina, quindi immagino che nessuno tornerà a casa stasera.

«Bodie» ripete, e sembra un ordine.

Mi accorgo che mi sto guardando i piedi, che il cuore mi batte ad un ritmo irregolare e che sembra calata una nuvola scura su tutta la mia giornata. Quando alzo gli occhi su di lei, mi fissa con gentilezza. Allunga un braccio e mi fa segno di avvicinarmi. «Fra poco mangiamo» dice, con più dolcezza di quella che in realtà mi merito. Dio, quanto vi odio, è questo che ho detto. Io non li odio, non adesso. Non lo so esattamente cos'è che odio, ma so che non odio la donna che sta in piedi sulla soglia della porta. «Lavati le mani».

Lo faccio, e poi mi tolgo la giacca e la appendo all'attaccapanni.

Lei non è come mio padre. Non fa giochini mentali, non mi fa attendere in piedi fissando a terra per sapere il verdetto sulla mia punizione. Credo che in fondo cerchi di capirmi, ma non so se può davvero farlo. Una persona così perfetta, una margherita nell'ipotetico stupido campo di margherite, può capire me, la pianta strana, l'erbaccia, l'ortica che nasce tra un fiore e l'altro? Non penso proprio.

Arrivo in cucina che i piatti sono già pieni di purè e polpettone e mia madre siede a tavola con il suo libro in mano. Lei li divora, i libri, come me, solo che io leggo quelli sbagliati. E se avessero ragione, in fondo? Se davvero avessi sbagliato a leggere quel libro quando mi avevano detto di non farlo?

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