Capitolo 9. Ryss

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Il soffitto della mia stanza ha una macchia, grossa e informe, vicino al lampadario. La fisso, sdraiato al buio sul mio letto, la sveglia elettronica che segna le due e trentotto con i suoi numeri rossi. Domani è domenica, posso recuperare il sonno arretrato di stanotte. Non riesco a dormire, non riesco a togliermi dalla testa quello che ho detto a Bodie ieri, su mio padre, sulla mia famiglia. Ma soprattutto penso a Bodie, alla sua voce che vibrava e si alzava e si abbassava mentre cantava quella ridicola canzone di chiesa. Non c'è paragone con Steven, non c'è paragone con nessuno dei coristi della scuola, non c'è paragone e basta. Forse c'è con Freddie Mercury, ma non in questa scuola.

Eppure, anche se Bodie è un ragazzo simpatico, nella mia mente c'è qualcun altro, che invade lo spazio che stavo cercando di dedicare a lui e al suo canto. Non lo so, non mi sembra la stessa cosa: Bodie è uno di quegli amici nuovi, quelli con cui parli di tutto ma non hai la confidenza necessaria per essere completamente te stesso; ma Steven era il mio migliore amico. Nella mia testa aleggia il sorriso di Steven, come una leggera nebbia sui campi alla mattina presto, nei primi giorni di novembre. Aveva questo sorrisino gentile e malizioso allo stesso tempo, la bocca sottile, totalmente il contrario di quella di Bodie. Non che mi interessi la bocca di Bodie.

Aveva gli occhi castani, Steven, come i miei. Cioè, ha gli occhi castani, non è morto. E i capelli scuri, e le fossette sulle guance, e i riccioli che gli ricadono sulla fronte quando scuote la testa, e... Mi fermo prima che la nostalgia mi prenda.

Soffro di due tipi di nostalgia. Ho nostalgia del mio migliore amico, dei pomeriggi che passavamo insieme a suonare, o seduti sul letto a parlare per ore di cazzate, di quanto detestavamo una lezione o l'altra, o di quanto ci piacevano i Queen. Mi mancano i momenti in cui aprivo il mio quaderno e gli facevo leggere la mia musica; ho smesso di farlo a un certo punto, perché alcune cose non volevo che le leggesse.

E poi c'è un altro tipo di nostalgia, una sorta di dolore e rimpianto, ma non c'entra l'amicizia. È come quando una pianta mette le radici, ma viene tagliata appena spunta fuori dalla terra. La pianta poi ricresce; o almeno credo, perché in realtà non lo so come fanno le piante, ma so che quello che si è spezzato a me non può ricrescere. O per lo meno non può ricrescere nel modo giusto, ma solo come una realtà storpiata dalla mia mente e dal mio rimpianto.

Non che ci sia poi molto da rimpiangere. Anche se Steven fosse ancora mio amico, cosa farei? Forse avrei più tempo per capire esattamente cos'era la nuvola nera che mi abitava il cuore ogni volta che ci vedevamo negli ultimi tempi.

Arrossisco involontariamente, al buio, quando penso a questo. A quando ci vedevamo la mattina; lui saliva un paio di fermate dopo di me, mi raggiungeva e non importava se non c'era posto sull'autobus, o se io ero già seduto e lui doveva stare in piedi o viceversa, trovavamo sempre il modo di passare il viaggio insieme. Quando io ero seduto, alle volte, se non voleva parlare forte, si sporgeva verso di me e mi sussurrava qualcosa, sfiorandomi l'orecchio con la bocca...

Mi volto da una parte e mi tiro la coperta sulle spalle, stringendo gli occhi per non pensarci. Dovrei dormire, a questo punto, ma adesso non ci riesco. Adesso ho questa immagine che mi offusca la mente e mi tiene incollato al letto, sveglio. Adesso ho questa nostalgia addosso ma anche una specie di adrenalina, e a questo punto sospetto che non c'entri troppo con la nostra amicizia.

Mi passo le dita sulla vita, toccando la cicatrice. È un giochino che ho sempre fatto, da piccolo, per calmarmi. A volte ci spingevo sopra, quando era stata appena ricucita, e mi faceva male, ma ora è solo una linea sbiadita, quasi invisibile, e indolore.

Me la sono fatta a sette anni; John mi aveva convinto a fare una partita a baseball con lui, ma nel tentativo di prendere la palla sono scivolato su un tavolino di vetro, uno che ora non c'è più perché quella volta è andato in frantumi e un pezzo mi ha ferito la vita.

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