47 - Non ho bisogno di altro

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GRACE 

Ho letteralmente il cuore a mille.

L'adrenalina mi scorre ancora addosso nonostante Jess abbia iniziato a rallentare in un piccolo viale poco illuminato recintato da un muretto di pietra grigia. Mantenendo la presa ben salda sul suo petto, mi giro verso destra osservando le acque del canale della Manica illuminate quasi soltanto dalla luna. Sono poche le luci accese a quest'ora, solo per sicurezza.

Jess ha guidato per più di un'ora e mezza tra le strade buie prima di Londra, poi di Crawley per poi scendere fino a Birling Gap.

Quando è uscito dalla porta di casa con un casco che non era il suo tra le mani, il mio cuore ha iniziato a palpitare, perché questo penso sia il gesto più inaspettato che lui potesse fare.

I suoi occhi erano fermi su di me, le sue tre regole uscivano dalle labbra, ma io entravo nelle sue iridi come forse non avevo mai fatto prima. Come a prendermi cura delle sue insicurezze.

Ha deciso di farmi salire su quella che è allo stesso tempo la sua fonte di libertà e la sua prigionia, chiedendomi di spaccarne le catene.

Quando, alle prime curve sentivo i nostri corpi inclinarsi insieme alla moto, la mia spina dorsale veniva percorsa da una scarica continua, dal basso verso l'alto, capace di calmarsi solo quando mi rendevo conto che ero abbracciata a Jess e niente avrebbe potuto farmi del male. Ero al sicuro come non mai.

Percorrere le strade inglesi accompagnati solo dal rumore del motore mi ha permesso di sentirmi libera. Libera dalla curiosità di chi da sempre cerca un motivo per sbattermi sulle pagine di un giornale, libera dal ricordo e dalle paure che la morte di Steven mi ha procurato.

Mi sono sentita solo e soltanto Grace. Come se fossi tornata quella bambina che correva a piedi nudi in giardino inseguita dal fratello.

Permettermi di sostituirmi, anche solo per qualche istante, al ricordo di una tragedia che lo tortura da anni è una dimostrazione che non potrò mai dimenticare in vita mia.

Ma che più di tutto ha fatto bene a lui. Ed è stato lui, per una volta, a volersi fare del bene.

E sarò anche una stupida, ma una leggera lacrima è scesa sulla mia guancia quando, per la prima volta, mi sono sentita davvero speciale per qualcuno, speciale come mi faceva sentire Steven quando mi faceva ascoltare le sue canzoni seduti appoggiati al divano del salotto. Per anni mi sono sentita speciale nel modo sbagliato: perché ero la sorella di, perché mi era capitato questo o quello, perché vivevo con Leo... Ma ora sembra tutto perfettamente speciale, perfettamente giusto.

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La moto rallenta sempre di più, superando un grande cancello di legno rimasto aperto. La mano di Jess, che per gli ultimi metri ha accarezzato delicatamente la mia coscia, si riposa ora sul manubrio, pronto ad affrontare una piccola discesa, che ci porta in un grosso piazzale, probabilmente quello che di giorno è un parcheggio per le auto. Sulla sinistra c'è un piccolo edificio di legno, forse un chiosco, ormai chiuso.

Jess gli si ferma accanto, osservando per qualche secondo la scogliera ai nostri piedi. Lascio che questo momento sia solo suo, mentre il motore si spegne. Permetto ai suoi pensieri di scorrere, di ricordare quello che non potrà mai dimenticare, ma con una consapevolezza nuova.

Dopo pochi istanti leva il casco nero, riavviando il ciuffo di capelli.

«Vieni» una volta sceso mi aiuta a mettere i piedi a terra, dove c'è un misto di terriccio e ghiaia.

Con delicatezza mi sgancia il casco, per poi sollevarlo e appoggiarlo alla moto.

I suoi occhi, così vicini e così veri, sono limpidi e concentrati mentre osservano i miei, in cerca forse di un commento su quella che potrei definire una delle esperienze più belle che abbia mai fatto.

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