38 - Viverci di nascosto

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JESS.

Parcheggio la moto davanti alla casa dai mattoncini rossi. Mentre mi levo il casco, percorro il piccolo vialetto a falcate, sperando che Arnold non interrompa la mia corsa, perchè rischierei di essere davvero poco gentile.

«Avevi intenzione di dirmi che Lauren ti aveva chiamata?» Le chiedo entrando in casa.

Paris è seduta sulla piccola poltroncina verde davanti al divano e si sta allacciando le scarpe da ginnastica, alza lo sguardo su di me e sul mio viso probabilmente paonazzo.

«So gestire una donna arrabbiata Jess...» mi risponde pacata, riabbassando poi lo sguardo.

Solo lei è in grado di farmi incazzare in questo modo, non ragionando sull'importanza di queste cose.

«Non è solo una donna infuriata Paris, è una che non ci ha pensato due minuti a farti una minaccia velata!» Sbatto il casco sul tavolo accanto a lei.

«Appunto, velata!» Obbietta alzandosi, aggiustandosi il vestitino azzurro che le cade svolazzante sulle cosce rosee.

Ieri sera ho mantenuto la calma solamente perché vicino a me c'era Kale, ma giuro che avrei voluto spaccare il cellulare, di nuovo.

Come cazzo si è permessa di chiamare Paris o di fare anche solo un'allusione su di noi?

La voce di Lauren, dall'altra parte del telefono, così fredda, mi ha fatto salire una rabbia che erano giorni che non provavo, giorni in cui vivevo forse troppo sulle nuvole.

Anzi, su una nuvola, solo con lei.

Ma poi sono caduto precipitosamente, quando Lauren mi ha chiamato solo per fare insinuazioni su contatti troppo vicini, su sguardi rubati. Senza giustificarmi troppo, ho cercato di insabbiare la cosa. 

Ma fino a quando sarà possibile farlo?

«Non mi interessa quanto poco fosse esplicita, era pur sempre una minaccia!» Le dico prendendole delicatamente le spalle.

Sono incazzato ma, dio, quanto è bella quando mi guarda così?

«Calmati Jess, non può aver visto niente» mi dice rilassata.

«Non ti devo certo insegnare io che, a volte, basta un niente per scatenare i giornali» la guardo negli occhi, sperando che anche lei inizi a comprendere la mia preoccupazione. E così sembra, quando le sue iridi si spostano verso il basso.

«Quindi?» Un sussurro esce dalle labbra rosa.

«Quindi adesso le faccio passare io la voglia» le dico irrigidendo la mascella.

«Non puoi fare niente Jess, le daresti solo un motivo per confermare la sua idea» si stacca dalla mia presa agguantando il caffè dalla cucina.

«Non possiamo permettercelo» penso ad alta voce.

Lei mi guarda per qualche istante, rimanendo in silenzio.

«Davvero non possiamo?» Mi chiede mentre nella sua voce sento un briciolo di provocazione, che sinceramente non mi aspettavo, in questo momento.

«Parli sul serio?» Sfilo dal pacchetto una sigaretta. Lei mi guarda, ma non risponde, continuando a bere in piccoli sorsi.

Aspiro la nicotina portando lo sguardo al soffitto. Il fumo esce caldo, mentre il mio cervello continua a macchinare.

«Paris, parli sul serio?» ripeto poi tornando a lei, che si siede su uno degli sgabelli, pensierosa.

«Non lo so Jess... è questo che vuoi continuare a fare? Viverci di nascosto?» 

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