39 - Due demoni

7.8K 328 476
                                    

GRACE.

Quando si pensa ad Arnold verrebbe facile descriverlo come un vecchio scorbutico, interessato per lo più ai suoi interessi personali e soprattutto a non avere guai nel quartiere. Ma negli ultimi tempi, forse perché sono cresciuta, mi rendo conto di quanto in realtà sia un uomo come tutti gli altri, con le sue debolezze e i suoi rimorsi.

Non posso ancora credere che abbia deciso di mettere in vendita la sua casa. In un certo senso è come se un po' mi appartenesse, come se fosse un pezzo della mia infanzia, e non averlo più in giro, mi fa strano ammetterlo, mi mancherà.

A distrarmi dai miei pensieri, e da uno strano velo di malinconia, è il cellulare che squilla, credo nella mia borsa. Me la poso sulle gambe, mentre Jess procede per la strada.

Inizio a tirare fuori una serie di cose inutili alla ricerca del telefono. Carte, documenti della Jupiter, un burro cacao, ...

«Cosa avevo detto a proposito di questi?» prende severo un lecca-lecca dalla mia gamba. Lo sventola davanti a me, mentre svolta a sinistra.

Mi strofino le labbra, per poi farmi sfuggire una risata nervosa. Giuro che non avevo intenzione di scartarlo, mi ero quasi dimenticata di averlo dietro.

«Non li voglio vedere Paris» ordina ancora una volta, severo, mettendoselo in tasca.

Purtroppo, non ho tempo per intraprendere una discussione provocatoria, devo rispondere al telefono.

«Ciao Harry!» Lo saluto rimettendo tutto nella borsa, tranne il lecca-lecca, ormai in possesso di Jess, che sembra già spazientito dalla telefonata.

«I Synonyms sono appena arrivati»

«Sto arrivando» lo rassicuro, d'altronde sono soltanto una decina di minuti in ritardo, vero?

«Tranquilla. Ti aspettiamo in sala due, al terzo piano» mi avverte, prima di riattaccare.

_____________________

«Una chiamata necessaria» commenta Jess una volta rimesso il telefono in borsa. Si abbassa i Ray-Ban scuri sugli occhi, mentre esce dal suv.

«Sei un po' troppo geloso per essere solo una guardia del corpo» rispondo sarcastica aprendo la mia portiera. Jess non è geloso, è al limite del possessivo con le sue cose, con la sua moto e forse anche con me.

Vedendo un paio di fotografi avvicinarsi, forse venuti a conoscenza del primo incontro con il gruppo, Jess mi afferra per un braccio facendomi percorrere il tratto di marciapiede nel meno tempo possibile, mentre impreca sottovoce.

Con il passare delle settimane inizio a preoccuparmi sempre di meno dei paparazzi, ma accade solamente quando sono con Jess, quando mi sento protetta non solo fisicamente, ma anche mentalmente.

Ci fermiamo davanti agli ascensori, aspettandone l'arrivo di uno, per salire al terzo piano.

Quando le porte si aprono sento la spinta leggera di Jess dietro la mia schiena e quando si richiudono mi fa girare su me stessa, per poi accostarmi al grande specchio che copre un lato della cabina. Il suo bacino si accosta sul mio, mentre sentiamo la spinta dell'ascensore salire.

Senza che io faccia in tempo ad accorgermene, le dita di Jess premono il comando di fermata.

«Sono molto geloso Paris.» 

Gli occhi chiari sono puntati su me e le pupille iniziano a dilatarsi. «Di ogni cosa che mi appartiene» sussurra ad un centimetro dalle mie labbra, con il respiro pesante. E io, come ogni volta, sono inerme davanti a lui, con il battito accelerato.

ImprevedibileWhere stories live. Discover now