7 - Geloso delle sue cose

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GRACE.

Saluto Leo e infilo il cellulare nella tasca dei pantaloni. Mi racconta che Marissa e Ben sono andati a trovarlo l'altra sera, il che mi ha fatto crescere un po' di nostalgia di casa. Nonostante questo, e nonostante le parole poco confortanti di mio fratello riguardo la mia permanenza qui, sono ancora felice di essermi trasferita.

«Non andiamo a correre stamattina?» mi chiede Kale vedendomi con i jeans.

«No, scusami Kale, non ti ho avvertito». Prendo un paio i libri e li infilo nella borsa di tela.

Dopo la mattinata di ieri, uscire a correre è l'ultimo dei miei pensieri. Non ho intenzione di sentire anche questa mattina l'insistenza di qualche fotografo.

«Non preoccuparti, ti ho portato un caffè». Poggia sulla penisola un bicchiere di carta fumante.

«Grazie, ti adoro lo sai.» Stamattina ho proprio bisogno di caffeina, dato che a mala pena ho chiuso occhio.

Per tutta la giornata di ieri ho tentato di occupare la mia mente, che però riusciva sempre a perdere concentrazione, riproiettandomi davanti le dita di Jess attorcigliate al ciuffo dei miei capelli. Inutile dire che, la sera, sola nel letto, è stato ancora peggio.

«Mi porti direttamente in università? Andrò a studiare in biblioteca, sono un po' indietro.»

«Certo» dice, tirando fuori dalla tasca le chiavi del suv.

«Anzi, perché non ti fermi anche tu a studiare lì, non avevi detto di avere un sacco di esami?»

«È vero. Ma di certo non nella tua università», alza le sopracciglia, prima di aprire la porta.

«Non penso che facciano problemi, d'altronde sei la mia guardia del corpo.»

E gli lasciamo abbastanza soldi ogni mese.

«Devo passare a casa a prendere un manuale allora». Annuisco e usciamo in giardino.

Oggi, per la prima volta, sembra non fare eccessivamente freddo, e il sole, seppur leggermente coperto, è piuttosto abbagliante. Cerco nella borsa, e tra qualche lecca-lecca e i libri, ritrovo i miei Ray-Ban.

«Buongiorno Arnold» saluto il vicino, seduto nel suo patio, accanto al cane. Con un cenno del capo ricambia il saluto, senza scomporsi più di tanto.

Sono quattordici anni che non lo vedevo, eppure mi sembra esattamente uguale. Mi sembrava già anziano a sei anni, leggermente scorbutico e mai accondiscendente. E anche adesso, non sembra cambiato di una virgola. Non ho mai capito se sia stato sposato o se abbia figli, l'ho sempre visto da solo. Tranne qualche amico che ogni tanto veniva a trovarlo per giocare a carte.

Anche da bambina non mi ha mai trattata come se lo fossi, anzi. Più di una volta ha insistito per insegnarmi a giocare a poker con lui, ma dopo aver capito che non era un gioco che comportasse bambole o giocattoli, mi ero dileguata, con sua grande disapprovazione.

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Kale sale in auto e in meno di cinque minuti arriviamo a casa sua.

Che è anche casa di Jess, mi ricorda la mia mente.

Il vialetto è molto simile a quello di casa mia, d'altronde siamo nella stessa zona e, probabilmente, chi ha fatto il piano urbanistico non deve aver avuto molta fantasia.

«Di chi è quella moto?» chiedo una volta parcheggiata l'auto.

Il giardino è molto grande, anche se non molto curato. La casa invece sembra in ottimo stato con delle bellissime tegole rossicce.

ImprevedibileWhere stories live. Discover now