32 - Cosa mi hai fatto?

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GRACE.

«L'ho uccisa Paris, l'ho uccisa io» la voce di Jess risuona nel giardino ma, come se non fosse abbastanza straziante, è lui stesso a ripeterle più volte.

Quello che era un piccolo nodo alla gola inizia a farsi sempre più grande, quando lo vedo buttarsi sugli scalini del porticato, quasi come se volesse rimanere lì per sempre. Morire lì.

E vorrei sbrigarmi a parlare, a dire qualcosa. Ma mi sento impotente di fronte a quello che non è altro che un senso di colpa, il più forte e il peggiore che qualcuno possa provare e il fatto che sia lui a sentirsi così spezza ogni singola parte di me.

Jess, il provocatore, il sarcastico, ma anche Jess il profondo, lui che sembra capirmi più di qualsiasi altra persona al mondo, conoscendomi da così poco. E adesso il motivo è così chiaro.

Cammino nervosamente davanti a lui sull'erba bagnata, passandomi una mano tra i capelli, mentre una leggera pioviggine inizia a scendere dal cielo buio, esattamente come immagino essere la sua mente in questo momento.

Sono piena di domande, la mia mente ha bisogno di pensare e di scaricare tutte le emozioni del momento. Il mio cervello necessita di metabolizzare che c'era un altro Jess prima, un Jess che era anche un fratello. Ma ora non ho il tempo, adesso ho bisogno di lui. Del Jess che conosco.

Vorrei che mi guardasse, che mi permettesse di prendermi un po' della sua sofferenza, ma i suoi occhi sono coperti dalle mani. Mi avvicino senza sedermi, restando in piedi davanti a lui. Ancora una volta poso lo sguardo sul suo avambraccio, su quel tatuaggio, che ora guardo con una nuova consapevolezza.

Never let me down.

«Adesso capisci?» il suo tono rimane duro, arrabbiato, mentre i suoi occhi si alzano percorrendo lentamente il mio corpo. Ma poi si fermano, rinunciando ad agganciarsi ai miei.

Adesso capisco, sì. Adesso ho capito cosa si cela sotto la crepa che finora ero soltanto riuscita ad intravedere.

«Adesso capisci perché non merito niente da te? Non merito il modo in cui mi guardi, in cui mi vuoi.» Un colpo mi trafigge a queste parole.

Mi abbasso piegandomi sulle ginocchia. «È stato un incidente, Jess» provo a dire, sapendo che ogni parola sarà vana, perché l'intensità con cui è in grado di torturarsi è più forte di qualsiasi frase che io possa pronunciare. «Un brutto scherzo del destino...»

«Sono io che le ho permesso di salire sulla moto, di non mettersi il casco. Sono io che ho accelerato. Sono io che l'ho uccisa, non il destino» il suo tono si fa sempre più duro, mostrando tutto l'odio che nutre per se stesso.

Metto una mano sulla sua, mentre continuo a cercare i suoi occhi che però sono persi da un'altra parte, in un altro luogo.

«Non farti del male Jess» lo sto pregando, perché è come se stesse facendo del male anche a me. Come se allo stesso tempo rivedessi lo sguardo di Steven, che si stava facendo del male, rovinandosi la vita.

Le sue spalle si alzano, comandate dal respiro pesante. «Non meriti di soffrire così, né di farti condizionare la vita da questa cosa. Però capisco Jess, lo capisco...»

Si passa una mano tra i capelli neri. Vorrei dirgli di più, ma io stessa combatto da anni per non essere prigioniera di un incubo.

«Aveva quindici anni» dice soltanto.

E io mi rendo sempre più conto che non riesco a fare niente e mi sento impotente, mi sento stupida a stare qui e non riuscire a levargli quel masso dallo stomaco.

«Poco più di una bambina... Le ho tolto la vita perché non sono mai riuscito ad avere la testa sulle spalle. Insomma, guardami» toglie la mano dalla mia. «Non riesco neanche adesso a controllarmi. Mi basta un niente per andare fuori di testa.»

ImprevedibileWhere stories live. Discover now