Capitolo 16 - Sara

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Sara

Scosto la tenda e fisso la sua immagine in strada, alza la testa e i nostri occhi si incontrano, nonostante la distanza.
Credo che lo faranno sempre, non servirà a nulla scappare, ferirci, rinnegare ciò che proviamo, i nostri occhi si troveranno sempre, anche solo per un breve istante.
Ogni volta i nostri cuori si fermeranno impercettibilmente per un solo breve attimo in quel momento.

Ad un tratto inizia a correre verso il palazzo e dopo pochissimo dei tonfi rumorosi provengono aldilà della porta, sta tirando ripetuti pugni a questa per attirare la mia attenzione.

Con tutto il baccano che sta facendo i vicini finiranno per lamentarsi.

Decido di andare ad aprire quella dannata porta prima che la sfondi, oppure prima che arrivi la polizia chiamata dalla Signora Cecilia del piano di sopra.
Anche se dovrei chiamarla io visto che la notte lei soffre di insonnia e non vuole far dormire neanche me spostando sedie, facendo cadere di tutto e alzando la tv.
Per fortuna almeno la coppia che vive di fronte li ho visti uscire tutti inghingheri e non ci sono.
La mia mano è tesa pronta per afferrare la maniglia della porta, ma proprio in quel momento lui decide di parlare, i miei passi però si bloccano, come il mio respiro, come il mio cuore.

"Sara, mi innamorerei di te mille volte, solo di te. Mi senti? Mi dispiace."

Resto con la mano tesa a pochi centimetri dalla maniglia, lo sguardo sbarrato mentre fisso il legno color mogano davanti a me.
É come se vedessi degli occhi azzurri, talmente chiari da ricordarmi acque cristalline dove tuffarsi.
Un groppo in gola che non vuole scendere, i polmoni chiedono aria, non mi sono neanche accorta di aver trattenuto il respiro, sono andata in totale blackout a quelle parole.
Sento i suoi passi allontanarsi, ed io sono sempre qui immobile, riesco solo a respirare a fatica e deglutire, nelle mie orecchie risuonano quelle parole, la sua voce quasi disperata e il pugno di frustrazione che ha scagliato subito dopo su questa porta.
Appena riesco a ritrovare padronanza sul mio corpo,
faccio un passo avanti, pronta a rincorrerlo, pronta a gettarmi fra le sue braccia, a curare queste ferite, apro la porta e lui non c'è.

Ho aspettato troppo.

Una fitta lieve invade il mio petto ed è impossibile non associarla alla sua assenza, alla sua perdita.
Una domanda ora mi tormenta e lo farà fin quando non avrò una risposta, fin quando non saprò la verità, perché questo cambia tutto.

Che diavolo è successo quella notte?

Porto una mano sul cuore come se volessi proteggerlo, ma è troppo tardi, lui lo ha già distrutto, ma ora, tutta la rabbia, l'odio, vacilla.
Perché sí, l'ho odiato con tutta me stessa per avermi fatta innamorare e per avermi abbandonata con uno stupido biglietto, una sola parola, 'perdonami'.

Come diavolo poteva pretendere il mio perdono?

Alla fine mi sono resa conto che dovevo perdonare me stessa, perché ho odiato anche me, per averci creduto, per aver abbassato la guardia, per non essermi protetta.
Nonostante tutto una parte di me ha sempre continuato a credere di non essere mai stata la sola ad essere coinvolta, e purtroppo ora questa parte scalpita.

Non può essere stato un perfetto attore, come non può esserlo ora.

Percepivo in ogni sguardo emozioni, camuffava imbarazzo attraverso sorrisi, c'era premura in ogni parola, io so che era vero, non può aver finto così bene.
Sfioro con le dita il polso interno della mano sinistra, traccio i contorni dell'inchiostro sotto pelle, un pezzo di puzzle, lo feci a vent'anni, ma mi fa pensare a lui, a quel giorno.

Flashback

"Sara, non ho intenzione di guardare le pagine della nostra vita, chiuso il discorso."
Sembra irremovibile, ma mi aveva promesso una serata film, ovviamente scelto da me, non può tirarsi indietro.

Come due pezzi di un puzzle. Where stories live. Discover now