.Flashback 2.

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17 anni fa...

*Roma*

Passeggiavo per le strade della capitale senza meta.
La guerra era finita, ero finalmente rientrato in Italia, ma ancora mi sentivo addosso quell'incubo che avevo vissuto in Bosnia: ogni luce, rumore, persona mi rendeva solo sempre più nervoso, quasi come se temessi che prima o poi, qualcuno avesse tirato fuori un fucile, o sarebbe camminato sopra una mina.
Inoltre non avevo niente...
Dopo l'accademia militare, ero stato spedito a calci in trincea, per dare una mano: ero giovane, agile e bello rubusto, due braccia utili ma soprattutto sacrificabili.
Ma una volta a "casa", non c'era più nulla per me... la mia famiglia aveva finalmente tagliato i contatti oltre che ai fondi, se lo avessero fatto prima, forse sarei stato adottato e non sarei stato costretto ad ammazzare e ad assistere agli orrori che ho vissuto, l'unica mia famiglia era la mia divisione di fanteria, ma molti erano morti o gravemente feriti, e l'altra metà aveva delle famiglie da cui tornare, a differenza mia.

Le uniche cose positive erano una pensione da veterano a 22 anni, e una medaglia d'oro al valore, ma con quella mi ci potevo pulire il culo.
Mi sistemai i capelli biondi, accaldato, che finalmente avevo fatto crescere come piaceva a me, non a caschetto come me li tagliavano le suore, nè militari come volevano i generali.
Maledetto agosto e maledetto il caldo umido romano!
E pensare che avrei dovuto testimoniare gli abusi che avevo visto durante la guerra alla Corte Suprema, forse metteranno lo stupro tra i crimini contro l'umanità, e sarebbe anche ora!
Quante povere ragazze ho visto, violentate. Quelle urla, ancora mi svegliano la notte, e quante di loro, si sono messe un elmo in testa e ci sono corse incontro, non per chiedere aiuto, bensì per farsi sparare e porre fine a quel tormento.
Stramaledetti non i serbi, nè i bosgnacchi nè i croati....
Maledetti gli uomini.
Tutti.

Sospirai entrando nella bettola che sarebbe stata la mia casa per quella settimana. Non male, ho visto buchi peggiori: un letto storto dalle lenzuola macchiate spero di caffelatte, carta da parati logora, qualche puntino di muffa sul soffitto, polvere alta due dita sulla moquette e...oh, ciao scarafaggio!
Mi buttai sul letto, che fece un cigolio orribile. Beh, meglio che dormire sulla terra o sulla pietra, pensai. Le brande dell'accademia erano meno comode.
Mi tolsi l'uniforme, finalmente, rimandendo in pantaloni mimetici, canotta bianca e medagliette al collo. Quelle non credo avrò mai il coraggio di togliermele, è forse l'unica cosa che posso chiamare famiglia, anche se male.
È l'unico momento della mia vita in cui mi sono sentito appartenente a un qualcosa.

Andai allo specchio del bagno, non mi sarei sorpreso di trovarci un topo morto ma per fortuna solo un lavandino incrostato di calcare come la doccia e il water.
Presi il coltello a serramanico dalla tasca, insieme alla schiuma da barba dal mio sacco di juta che avevo trasformato in borsone da viaggio. Quando non hai, ti adatti!
Si sistemai la barba, facendo scorrere la lama sulla mia pelle, era stato in viaggio diversi giorni, ancora dovevo ricevere la prossima paga, e quel poco che avevo, volevo conservarmelo per prendere un buco dove vivere.
Mi ripulii il collo e mi definii la barbetta, mentre la lama luccicante minacciosa mi passava sul collo.
Come avrei voluto metterla perpendicolare e con un gesto rapido far finire tutto...

Scossi via dalla testa quei pensieri, avevo visto e causato fin troppa morte per i miei gusti.
Mi fissai dopo essermi sciacquato la faccia: i miei occhi verdi tendevano all'azzurro sotto quella luce, i capelli biondi mi ricadevano sul viso con un paio di ciuffi e le cicatrici sul mio corpo si stavano rimarginando.
Con cautela torsi la garza dalla ferita sulla spalla, un buco che non accennava a rimarginarsi.
Serbo bastardo dalla madre puttana, non solo ti sei violentato mezza Sarajevo, mi hai dovuto anche sparare, mentre cercavo di salvare.....

Saudade: "L'amore che resta"Where stories live. Discover now