33 - Logan

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Sono seduto al tavolo della mensa ad ascoltare i discorsi, di cui non me ne frega niente, che fanno i miei compagni di squadra.

Nonostante sia circondato da gente che stravede per me mi sento completamente solo, non ho nessuno con cui poter parlare liberamente e sfogarmi per chiedere un consiglio su quello che sta succedendo.

Sono persino arrivato a pensare di andare dalla consulente scolastica ma credo che sia lì per sentire ragazzi con veri problemi, sicuramente non uno che crede di avere una cotta per la ragazza con la quale si è confidato.

Come il mio pensiero va a Davis chiudo gli occhi e mi prendo la testa, mi mortifico per quello che le ho detto in quell'auto.

Penso a cosa cercavo di fare, volevo mi dicesse di restare, che era tutto ok e mi aiutasse a fare chiarezza tra i mille pensieri che ho per la testa.

Riapro gli occhi quando sento qualcuno dire che Bennet è con una ragazza, 'impossibile' penso subito, non si vede mai in giro con nessuna nonostante ci provi con tutte.

Sposto lo sguardo verso l'entrata della mensa e noto con molto spiacere che la ragazza che sta tenendo sottobraccio è Davis, una sensazione violenta si impossessa in poco tempo di me.

Mentre mi avvicino a loro e dico a lui di starle lontano escogito di portala via, di sicuro non sa quello che fa, non è a conoscenza di quanto Bennet possa essere un coglione e poi sono sicuro che la farebbe solo soffrire.

La trascino fuori dalla sala e andiamo all'esterno della scuola. "Lasciami!" continua a urlare mentre la porto in un posto tranquillo.

La faccio salire in auto e inizio a guidare senza meta.

"Dimmi dove stiamo andando o salto giù dall'auto in corsa" minaccia la ragazza irrequieta sul sedile del passeggero.

"Ieri quando sono tornato a casa mi sono messo a pensare e ho capito che il mio più grande problema è che non riesco ad affezionarmi a nessuno perché ho paura dell'abbandono" inizio a spiegarle sperando che mi stia a sentire.

Non sono molto bravo a prendere decisioni sul momento ma spero di aver fatto bene a fare questa, voglio farle capire che ci tengo a lei facendola diventare parte di quello che sono.

"Dove mi stai portando?" mi chiede diffidente, un po' la capisco.

"Ti porto a vedere da dove viene questa mia paura" pronuncio con difficoltà queste parole, non è facile ma voglio confidarle tutto così magari non scapperà dato che sarò stato onesto.

Voglio farle vedere quello che ho dovuto passare come lei ha fatto con me, se vedere le sue debolezze mi ha avvicinato a lei allora farle vedere le mie la avvicinerà a me.

Parcheggio più vicino possibile al posto nel quale dobbiamo andare per non dover camminare troppo, scendiamo e la prendo per mano, così non si allontanerà da me e mi darà la forza per continuare questa pazzia.

Come le nostre mani entrano in contatto smette di camminare e fissa l'intreccio che si è venuto a formare.

I nostri occhi si rincontrano dopo un tempo che mi è sembrato un'eternità, l'unica differenza è la fragilità nei miei pensieri che si riflette nella luce delle mie iridi marroni.

Il suo volto si fa più dolce, deve aver notato la mia malinconia, e stringe più forte la mia mano come per dirmi che non mi lascia solo in un momento del genere.

Titubante continuo la mia camminata verso il mio tragico passato, supero la porta d'entrata e chiedo di lei, mi indicano dove andare e, con la mano ancora stretta alla sua, ci avviciniamo all'inevitabile.

"Mamma?" mi avvicino a lei lentamente mentre l'infermiera la guida verso di me sulla carrozzina.

"Lo riconosci?" le chiede la donna una volta arrivate di fronte a me.

"Il mio bambino!" esclama allungando le braccia verso di me, mi piego per abbracciarla e la stringo forte, non la vedo da una settimana e mi mancava moltissimo.

"E lei la riconosci?" chiede sempre l'infermiera indicando Davis.

"Mamma ti presento Brooke" le metto una mano dietro la schiena per farla avvicinare a me, al contatto tra di noi si irrigidisce.

"Piacere" allunga la mano verso la mamma.

"No!" grida la donna che mi ha messo al mondo girandosi dall'altra parte.

"Che succede mamma?" mi accovaccio di fianco alla sedia a rotelle prendendola per mano con l'intento di tranquillizzarla.

"È con loro! È malvagia!" digrigna i denti guardando male Davis.

"Non è vero mamma, è molto buona" le accarezzo la guancia.

"È una di loro!" le punta contro il dito con ira.

"Mamma non puoi fare così, è la mia ragazza" dico senza pensare, non mi aspettavo questa sua reazione.

"Portami via" strattona il camice dell'infermiera che obbedisce al suo ordine.

Mi volto verso la ragazza con la quale sono venuto qui che mi guarda compassionevole ma allo stesso tempo desiderosa di spiegazioni, la prendo per mano e la porto nell'atrio.

"Soffre di schizofrenia" ammetto posizionandomi esattamente di fronte a lei. "È una bravissima donna ma non è stata una madre molto presente per colpa della malattia" sposto il mio sguardo triste verso il resto della clinica, non ho avuto una bella infanzia.

"Io non voglio restare solo" ammetto con gli occhi lucidi e lo sguardo nel suo.

Fa un passo verso di me e mi prende il volto tra le mani, i suoi occhi mi guardano comprensivi, non volevo farle pena, volevo solo che capisse perché allontano chiunque comportandomi da stronzo.

"Non sei solo e non lo rimmarai" a queste sue parole una scintilla di speranza si accende in me, che lo dica perché prova qualcosa per me?

"Non sono capace di affezionarmi" guardo dall'altra parte, il contatto visivo tra di noi oggi è più estenuante che mai.

"Hey guardami" con le mani ancora sulle mie guancie mi gira la testa per far rincontrare i nostri occhi. "Nessuno è incapace di amare" pronuncia quelle parole e il mio sguardo cade sulle sue labbra, richiamano in me il forte impulso di baciarla una volta per tutte smettendo di temporeggiare.

Appoggia la fronte alla mia e ripete l'ultima frase "Nessuno è incapace di amare" ma questa volta sotto voce, come se volesse che restasse tra di noi.

Non riesco più ad aspettare, le metto la mano dietro la nuca e la tiro più vicina a me. Le mie labbra si tuffano sulle sue mentre l'altra mia mano torna sulla sua schiena per far aderire completamente i nostri corpi.

So che mi odi ma non riesco a non pensare a te.

Dal momento in cui ci siamo sfioratiWhere stories live. Discover now