60. Your knee socks

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Capitava sempre a tutti che improvvisamente trovavano la forza di andare avanti, ma a lei no. Rimaneva insabbiata in un vortice acquitrinoso di fango e melma a tal punto da averci fatto quasi l'abitudine, a tal punto da cominciare a chiedersi se non stesse impazzendo del tutto.
La verità é che il corpo umano si abitua a tutto, e lei si era abituata anche a vivere con quel vuoto incolmabile.
E a volte è proprio quando pensi di esserti abituato a certe mancanze che quelle decidono di farsi sentire con più forza, perché il mondo tutto d'un tratto decide di ricordartele, come per assicurarsi che non le scorderai mai.

Il cellulare le squillò sul tavolino mentre lei si preparava una tisana con il bollitore.
Era tornata nella città degli angeli e aveva preso una casa in affitto, come faceva ogni qualvolta doveva lavorare per Brigitte e la Estée Lauder. Si era abituata a vivere intere settimane in città del tutto sconosciute e cominciava ad apprezzare l'esistenza solitaria di Los Angeles, ma nonostante questo rimaneva abbastanza estranea alla vita mondana di Hollywood.
Il modo in cui tutta la vicenda di Harry e Charlie l'avevano scalfita e avevano influito su di lei era inquantificabile, e lei si era buttata a capofitto nel lavoro chiudendosi a riccio per quanto riguardava tutto il resto.

«Estelle.»
La voce rassicurante di Ivonne era sempre rigenerante come un caldo abbraccio, ma quella volta le sembrò vagamente inquieta.

Ivonne viveva ancora a San Francisco, ma Oliver in quei giorni si trovava a Los Angeles per lavoro e lei aveva deciso di andare a trovare sua sorella per passare del tempo con entrambi, visto che lui viveva in Florida e loro passavano molto più tempo separati che insieme. E questo li portava a lasciarsi più o meno una volta al mese.

«Io e Oliver siamo a una serata, al Viper Room.»
Estelle mescolò lo zucchero con il cucchiaino, con addosso una canottiera di seta e un paio di shorts in cotone, mentre ragionava su quale film l'avrebbe aiutata ad addormentarsi.
«Sì, me lo avevi detto che sareste andati lì.»

«Sì, beh, quello che non ti ho detto, è che c'è anche Harry.»
Per poco non si ustionò con il liquido bollente che le cadde sulla moquette, la quale evitò il frantumarsi della tazza in ceramica, a pochi centimetri dai suoi piedi nudi.

«Che cosa?»
Era passato un anno. Un anno in cui non si erano più incontrati, perché lei aveva concentrato tutte le sue forze sull'evitare il più possibile di trovarsi a Los Angeles. E lui, lui sembrava aver evitato con tutte le sue energie di restare a Londra per lunghi periodi.

«È qui. È sbiancato, quando mi ha visto, ma ci siamo salutati senza dirci altro.»
Ci mise poco a decifrare i suoi stessi pensieri.
«Hai detto Viper Room? Quello sul Sunset?»
«Sì, esatto.»

Aveva Harry a poche centinaia di metri. Il cuore cominciò a batterle all'impazzata mentre quella sensazione adrenalinica di nervi frementi la sbeffeggiava dallo stomaco fino alle caviglie.

La sua mente vacillò verso lidi sconosciuti, e cominciò a pensare che non potesse essere un caso. Oppure, era semplicemente quella disperata voglia di rivederlo anche solo da lontano, che la accecava di follia insana e la scindeva in un perverso dualismo tra il desiderio masochistico di respirare ancora la sua stessa aria e osservare da lontano la filigrana della sua pelle, e il bisogno di odiarlo per cominciare a distaccarsene.

Forse si sarebbe tenuta stretta i suoi fiumi di ricordi per cominciare a navigare realmente da sola, senza il pensiero assillante di lui.

«Mi vesto e vengo.»
«Che cosa hai detto?»

«Ho bisogno di vederlo. Ho bisogno di capire che effetto mi fa rivederlo.»

«Stai scherzando? Sei impazzita forse?»
«Assolutamente no, forse è l'unica cosa sensata che io abbia mai..»

𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚 𝒚𝒐𝒖 𝑬𝒗𝒆𝒓𝒚 𝒎𝒆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora