Prologo - Friends

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“Taehyung-ssi, se continui a muoverti rischiamo di cadere entrambi dal letto.”

Quella sera, erano entrambi distesi sul materasso del letto a castello di Jimin. Erano quasi le undici e pioveva, pioveva a dirotto, e i due ragazzi furono obbligati a tirare le tende davanti al vetro della finestra per non vedere i lampi che illuminavano già da un po’ tutta Busan. Taehyung e Jimin si ritrovarono senza parlare uno tra le braccia dell’altro, soli in casa, entrambi colti dalla solitudine e da una certa nostalgia. 

Taehyung non vedeva i suoi nonni da interi mesi, l’ultimo Natale non lo passò nemmeno con loro a causa della malattia della nonna. Succedeva spesso che i due ragazzi, quando erano soli, il week-end, si addormentassero insieme nello stesso letto. A qualcuno avrebbe potuto dare fastidio o fatto strano, ma ad entrambe le loro famiglie la cosa andava più che bene.

A volte rimanevano a parlare per intere ore, anche di cose senza senso, abbracciati. Si conoscevano da quasi un anno e già riuscivano ad accettare l’uno i difetti dell’altro: si capivano con un solo sguardo, si aiutavano nei momenti di sconforto e cercavano sempre di comportarsi bene durante le lezioni scolastiche. Spesso litigavano, eccome se litigavano, ma non riuscivano a stare lontani per più di ventiquattro ore. Solamente una volta riuscirono a non parlarsi per quasi due settimane, troppo orgogliosi di loro stessi per potersi scusare l’uno con l’altro. La chiamavano “la storia degli gnocchi”, quando la raccontavano alle persone.

Erano come due fratelli. Mentre Taehyung si nascondeva in bagno e piangeva in silenzio tutte le sue lacrime, Jimin non riusciva a stare calmo e faceva sempre disperare i professori. Jimin sentiva il bisogno di correre dall’amico, di abbracciarlo, di fargli sapere che non era solo. Così, un giorno, seguì il suo istinto e corse da lui. Il professore di matematica, quella fredda mattina di gennaio, continuò a chiamare Jimin dicendogli che non poteva lasciare anche lui la lezione appena iniziata, ma a lui poco importò. Doveva correre dal suo amico, da Taehyung.

“Taehyung?”, lo chiamò Jimin entrando lentamente nel piccolo bagno della scuola in fondo al corridoio, “Sei qui?”

Taehyung non riuscì a rispondere, così mise un piede fuori dalla porta per dare un segno al richiamo dell’amico. Per l’ennesima volta era riuscito a far vincere le sue paure, richiudendosi ancora in sé stesso. Jimin pensò subito a cosa avesse potuto causare quel momento di debolezza a Taehyung: Il suo andamento scolastico sembrava peggiorare ogni giorno che passava, la sua concentrazione non era una delle migliori e la salute della nonna non lo tranquillizzava affatto. Tae aveva paura per lei, i dottori dicevano che prima o poi sarebbe guarita ma non ci credeva, affatto. Lui l’amava, non poteva perderla, non si sentiva ancora pronto a lasciarla. Ma quel giorno, ironia della sorte, sua madre lo chiamò in lacrime.

“Tae?”

Jimin entrò nel primo gabinetto che trovò aperto e rimase sullo stipite della porta a fissare il suo migliore amico steso sul pavimento, le ginocchia contro il petto e le braccia avvolte attorno alle gambe. I suoi occhi erano colmi delle solite lacrime che lui era abituato a vedere e a sentire, a differenza degli altri ragazzi del gruppo, ma quel giorno qualcosa non andava. Con Jimin, Taehyung si sentiva al sicuro; si sentiva protetto e libero di mostrare anche il suo lato più debole, senza paura di essere giudicato. 

Jimin si accovacciò con leggerezza a fianco dell’amico e gli circondò le spalle con un braccio, stringendolo contro il suo corpicino sottile ma allo stesso tempo muscoloso grazie agli allenamenti di danza, facendogli adagiare infine il capo sul suo petto. Jimin capì al volo, infatti non disse nulla. Stando alle parole di Taehyung, prima o poi sarebbe comunque successo. Sua nonna era peggiorata di nuovo, ma sembrava avessero trovato una cura migliore per poter sconfiggere il mostro che la stava divorando da troppo tempo.

“Mi dispiace così tanto.”, mormorò il più basso accarezzandogli i capelli con una dolcezza che Taehyung aveva sempre adorato, “Abbracciami Tae, lo so che ne hai bisogno.”

Taehyung sospirò pesantemente e singhiozzò, tirando su con il naso, sporgendosi verso l’amico e arrendendosi alle sue dolci carezze. Jimin trattenne le lacrime e strinse tra le sue braccia esili il suo migliore amico, per confortarlo maggiormente. 

“Piangi, Taehyung.”, gli disse con tutto l’amore che poté, “Non tenerti tutto dentro. Piangi e sfogati, non avere paura.”

Taehyung singhiozzò nuovamente, la bocca bagnata e salata a contatto con il petto dell’amico, “Jimin-ah, n-non doveva finire c-così.”

Alle parole del minore, Jimin aumentò la presa dell’abbraccio e lasciò che una lacrima rigasse anche il suo viso. Non aveva mai conosciuto sua nonna, Taehyung in più occasioni gliene aveva parlato e dalle sue parole aveva sempre immaginato quanto lei significasse per quel ragazzo.

“Lo so, Tae, lo so.”, rispose il maggiore sospirando, “Non si è mai pronti per questo tipo di cose. Sicuramente ora tua nonna sta meglio, sai? Chissà, magari ora ci sta proprio guardando e si starà maledicendo da sola per averti fatto stare male così. Non chiuderti in te stesso, Taehyung, dimmi qualcosa ti prego. Io sono qui, ci sarò sempre per te. Non vergognarti di nulla, non ti prenderei mai in giro e lo sai.”

Le parole di Jimin entrarono velocemente nel cuore di Taehyung e lo marchiarono. Il moro annuì semplicemente e lasciò che Jimin gli portasse i pollici sotto gli occhi per poterli asciugare dalle lacrime salate. 

“Mi prometti che ci proverai?”, gli sussurrò nuovamente il maggiore poggiandogli una mano sulla spalla, “Ho bisogno di te, TaeTae, lo sai anche tu.”

Taehyung cercò di far regolare il battito cardiaco e di rilassarsi. Quel giorno si sentiva parecchio strano, si aspettava che qualcosa sarebbe sicuramente andato storto.

“T-te lo p-prometto.”, riuscì solo a dire asciugandosi il naso con la manica della camicia dell’uniforme.

Jimin gli rivolse uno dei suoi splendidi sorrisi e gli prese una mano, stringendola nella sua, “Andiamo, dai.”

“N-no, Jimin, a-aspetta.”

Il più basso si voltò per guardare Taehyung, non capendo il motivo per cui l’avesse chiamato.

“T-ti voglio bene, Jimin-ah.”, mormorò il più piccolo incrociando le dita della sua mano a quelle di Jimin, “E m-mi dispiace se a volte non te lo dimostro abbastanza come fai tu m-ma lo sai come sono fatto.”

Jimin inchiodò il suo sguardo a quello dell’amico e rimase a guardarlo per un tempo che parve un’eternità, “Già lo sapevo, Tae, ma non mi dispiace sentirtelo dire.”

“Grazie, Jimin-ah, di tutto quanto.”

“Grazie a te di esistere, Taehyung-ssi.”


               

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Spero vi piaccia, fatemi sapere :)
-Sara❤️

Blue&Grey| vminWhere stories live. Discover now